Alleati traditi. Sauditi ed egiziani già pensano all’atomica, e a mollare l’alleato americano in favore di Putin
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Abituato a un linguaggio diretto, Turki ha aggiunto: “Qualunque cosa gli iraniani hanno, la avremo anche noi”.
di Carlo Panella | 15 Luglio 2015 ore 06:15 Foglio
Roma. “L’accordo con l’Iran apre la porta alla proliferazione nucleare, non la chiude”. Questo secco giudizio non è del premier israeliano Bibi Netanyhau, ma di Turki bin Faisal, già capo dei servizi segreti sauditi e già ambasciatore a Washington, ed è stato espresso poche settimane fa. Abituato a un linguaggio diretto, Turki ha aggiunto: “Qualunque cosa gli iraniani hanno, la avremo anche noi”.
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Non è un caso che questo esplicito annuncio dell’intenzione di Riad di dotarsi di un armamento atomico sia arrivato in coincidenza della firma a San Pietroburgo il 18 giugno del contratto con cui il regno saudita acquista 16 centrali atomiche dalla Russia. Il contratto è stato firmato da Vladimir Putin e – il fatto è indicativo – non dal ministro dell’Energia saudita, ma dal principe Mohammed bin Salman, che non solo è il ministro della Difesa, ma è anche figlio del re Salman e secondo nella successione al trono. E’ palese e che le 16 centrali atomiche acquistate dai sauditi sono sproporzionate rispetto alle necessità energetiche del regno e sono funzionali a un raffinamento dell’uranio finalizzato all’atomica. Ci sono state poi le rivelazioni del Sunday Times (confermate da molti analisti), secondo le quali il Pakistan ha deciso di sdebitarsi per i finanziamenti di miliardi di dollari ottenuti da Riad per dotarsi di una bomba atomica, consegnandole l’assistenza per disseminare di atomiche la penisola arabica. Ma non basta: anche il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha deciso di affiancare i sauditi e il 15 febbraio scorso, durante la visita di Putin al Cairo, ha firmato un contratto per l’acquisto di una centrale atomica con tecnologia russa che sorgerà nella località di al Daba.
E’ dunque indubbio che l’accordo nucleare di Vienna spinge i due paesi arabi tradizionalmente alleati dell’America a buttarsi ora nelle braccia della Russia, stringendo vincoli di lungo periodo che muteranno la loro collocazione internazionale.
Questi vincoli si completano con l’acquisto di parte saudita di armi per 1,4 miliardi di dollari – 150 elicotteri, di cui 30 Mi-35 (d’attacco) e 120 Mi-17 (per il trasporto), oltre a 150 carri armati T-90S – e da parte dell’Egitto di armamenti per ben 3 miliardi di dollari (prestati da Riad).
Le ragioni di questa escalation nucleare saudita-egiziana, appoggiata dai paesi del Consiglio del Golfo, sono evidenti: Barack Obama ha condotto le trattative con l’Iran escludendo dal tavolo l’aggressività militare di Teheran nei confronti dei paesi sunniti, dispiegata ormai da quattro anni – un’aggressività che minaccia direttamente Riad, il Cairo e il Kuwait. Ammesso che il trattato di Vienna inibisca per 10 anni la costruzione della bomba atomica iraniana, è agli atti, per cartas, che da qui al 2025 l’Iran continuerà a inviare i suoi pasdaran e Hezbollah (che è una sua formale emanazione libanese) a combattere contro gli interessi sauditi, egiziani e dei paesi sunniti in Libano, Siria, Iraq, Yemen e a Gaza.
Rinforzata l’economia con decine, forse centinaia, di miliardi di dollari per l’acquisto di petrolio e di investimenti occidentali, Teheran è ora libera di sviluppare la sua spinta aggressiva nei confronti dei paesi sunniti, finalizzandola alla “esportazione della rivoluzione” e addirittura alla “rinascita dell’impero Sassanide” (come teorizza il “riformista” Ali Younesi, consigliere del presidente Hassan Rohani ed ex ministro dell’Intelligence nel governo Khatami). Lo stesso assenso all’accordo di Vienna da parte del blocco costituito da pasdaran e “clero militante” ha questa motivazione.
E’ quindi facile prevedere cosa accadrà in Siria: la perdita del controllo di Damasco da parte di Bashar el Assad sarà seguita e attutita dai 10 mila pasdaran e miliziani di Hezbollah, già radicati nel paese. Stesso scenario in Iraq, dove le milizie sciite, sotto la guida del generale dei pasdaran Qassem Suleimani, sostituiranno sempre più un esercito iracheno inesistente, e saranno la “forza armata” di un governo di Baghdad ridotto a satellite di Teheran. Stesso scenario nello Yemen, là dove gli Houti sono arrivati a sfondare il confine e a combattere su suolo saudita. Identico lo scenario di Gaza. Infine, ma non per ultimo: Riad sa bene che i missili intercontinentali iraniani – esclusi dall’accordo di Vienna – sono puntati su Riad e Gedda e non solo su Tel Aviv e Dimona. Diventa così quasi obbligato il suo sganciamento da Washington e l’avvio di una escalation militare che trasformerà il medio oriente in un caos incontrollabile e incontrollato. A tutto vantaggio della Russia di Putin.
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