Perché sulla Grecia la sinistra tedesca è più rapace di Merkel
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I leader dell’Spd sono durissimi con Atene: temono il paragone con Tsipras e la pressione della “piccola gente”
Martin Schulz con Alexis Tsipras (foto LaPresse)
di Thomas Schmid | 11 Luglio 2015 ore 06:06 Foglio
In Germania alcuni esponenti socialdemocratici di spicco hanno usato – ancora prima del referendum greco – toni molto duri nei confronti del governo Tsipras. Martin Schulz, presidente dell’Europarlamento, per esempio ha detto: “Nutro seri dubbi che il governo greco sia veramente interessato a giungere a un compromesso”. Ancora più chiaro in proposito è stato Sigmar Gabriel, capo dell’Spd e vicecancelliere della Grosse Koalition. La notte del referendum greco ha detto: “Tsipras ha fatto crollare gli ultimi ponti che avrebbero permesso alla Grecia e all’Ue di venirsi incontro”. Ma già due settimane prima aveva affermato che nell’Europa intera cresce l’irritazione, il bisogno di dire “ora basta!”, aggiungendo poi: “Non faremo certo pagare le promesse irragionevoli di un governo mezzo comunista ai lavoratori tedeschi e alle loro famiglie”. E’ vero che non tutti nel suo partito hanno apprezzato queste uscite, ma Gabriel è riuscito a imporre la linea dura ai suoi. Alcuni ora si chiedono se queste dichiarazioni hanno a che fare con il carattere irascibile del capo dell’Spd o, piuttosto, come maligna qualcuno, se si tratti di una incursione nel populismo.
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E’ probabile che entrambe le ipotesi siano in parte vere. Anche se a ben vedere qui la questione è un’altra. Da una parte c’è la posizione tutt’altro che facile della Spd nella grande coalizione. E’ vero che il partito è riuscito a far passare molti suoi progetti (per esempio: salario minimo, quote rosa, abbassamento dell’età pensionabile). Ciò nonostante Merkel, onnipresente su tutti i palcoscenici internazionali, mette tutti gli avversari in ombra, e il suo partito si trova stabilmente al 40 per cento nei sondaggi. L’Spd, altrettanto stabilmente, non riesce invece a schiodarsi dal risultato elettorale del 2013, cioè il 25,7 (in uno degli ultimi sondaggi è addirittura scesa al 23 per cento). Questo è certo uno dei motivi per cui ora Gabriel fa la voce grossa con la Grecia. Inoltre sa benissimo che le sue esternazioni toccano un nervo scoperto di molti tedeschi. Soprattutto la cosiddetta “piccola gente” di cui l’Spd si sente rappresentante. Molti tedeschi temono che la crisi greca possa intaccare il loro livello di benessere. Lo scopo di Gabriel è dare a queste persone una voce socialdemocratica, non da ultimo per impedire il loro spostamento verso destra, verso il partito AfD e il movimento Pegida.
Poi c’è un altro motivo, decisivo, che spiega perché esponenti di spicco dell’Spd usano un tono così duro nei confronti del governo Tsipras. Il motivo sta nella crisi dell’Spd, e più in generale nella crisi delle socialdemocrazie europee. La causa principale di questa crisi sta nel fatto che alla sinistra dell’Spd si trova il partito radicale Die Linke, che nei Länder dell’ex Ddr ottiene spesso più voti dell’Spd. E qui ci ritroviamo di fronte al dilemma che assilla l’Spd da un secolo: è l’unico partito di sinistra in grado di assumersi una responsabilità di governo, e questo viene riconosciuto da tutti. Ma questo rende il gioco facile ai “radicali” di sinistra, che tacciano l’Spd di tradimento e di proporre politiche di destra.
Così l’Spd si ritrova tra l’incudine e il martello. Perché se da una parte per quel che riguarda la Grecia chiede da tempo una decisa politica di investimenti, Eurobond e un giorno forse arriverà a chiedere anche un taglio del debito greco, dall’altra, in quanto megafono della “piccola gente”, non può che pretendere che questi aiuti vengano strettamente vincolati a contropartite, a un serio programma di riforme e tagli della spesa.
Il nazionalismo di Syriza
Pesa inoltre, ed enormemente, almeno ai socialdemocratici tedeschi, il fatto di essere accomunati ai radicali di Syriza e a Podemos, parte della stessa famiglia di sinistra. Un accostamente che brucia ancora di più perché agli occhi dei socialdemocratici Syriza non è un partito di sinistra, ma nazionalista, rappresentante di un nazionalismo egoista. Un partito che pretende, o per lo meno ha preteso fino a ieri, il foraggiamento a fondo perduto del proprio paese e della sua cattiva amministrazione da parte degli altri stati europei, e dunque della “piccola gente”. Se il governo greco dovesse restare su questa posizione, la Grecia rischierebbe di diventare un failed state. E mettendo in conto una certa tendenza a generalizzare, il commento più frequente potrebbe essere: “Visto? La sinistra non sa governare”. Per l’Spd sarebbe una marchiatura a fuoco. Una fonte dentro ai socialdemocratici dice inoltre che se la linea nazionalista del governo Tsipras si dovesse rivelare vincente, equivarrebbe a un appello a tutte le nazioni europee a seguire l’esempio greco. Sarebbe un precedente che dimostra come una strategia politica nazionalista dura e pura possa servire non solo a fare opposizione, ma possa addirittura far vincere le elezioni, anche se a spese di tutti gli altri. “A conti fatti, Tsipras non sta facendo altro che seguire una brutale politica nazionalbolscevica. Ha preso in ostaggio il suo popolo per mettere in atto un suo progetto massimamente ideologico”, dice la fonte. Volendo riassumere queste posizioni, si deve concludere che Syriza non è di sinistra. La linea politica che persegue non ha come fine l’ascesa della sinistra, ma dei nazionalpopulisti e dei radicali di destra. E non è un caso che questa settimana, al suo arrivo al Parlamento europeo, Tsipras sia stato festeggiato in modo entusiasta da Marine Le Pen e Nigel Farage.
Thomas Schmid è ex direttore del quotidiano Welt e commentatore di spicco della politica tedesca
(Traduzione di Andrea Affaticati)
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