Il pifferaio tragico. Il rischio di Merkel e l’azzardo di Tsipras, il contagio e l’avvitamento politico,
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la paura ancestrale del crac e la magia del malumore di Salvini, Grillo e Syriza
di Salvatore Merlo | 01 Luglio 2015 ore 06:14 Foglio
E se davvero la Grecia uscisse dall’euro, la storia chi impiccherebbe, Angela Merkel o Alexis Tsipras? “Forse entrambi”, risponde Gian Enrico Rusconi. “Merkel è un mistero, un enigma, non scioglie fino in fondo la natura del suo contrasto, o della sua consonanza d’opinioni, con il vecchio e durissimo Schäuble, il ministro delle Finanze. Dunque traccheggia, porta la mediazione al parossismo più estenuante, dentro e fuori i confini del suo paese. Non so se il suo è machiavellismo, ma questa lentezza pedante è la sua cifra. Questa signora che i tedeschi chiamano Mutti, ‘mammina’, trascina le cose fin quasi all’estremo limite della resistenza umana. Tsipras invece è tutto un altro genere. Lui non ha la volontà di rimettere la Grecia su una strada sostenibile nell’economia di mercato, e sullo scacchiere dei rapporti internazionali gioca d’azzardo, che è l’esatto contrario del rischio”, dice Rusconi, alludendo, per infauste assonanze, a quel suo famoso saggio sulla Grande guerra che s’intitolava “Rischio 1914”. Ma il rischio, dice il professore, “è sempre calcolato, mentre l’azzardo è un salto nel vuoto”.
E allora c’è qualcosa che si ripete, perché nelle pieghe più oscure della storia d’Europa, nel secolo breve dei grandi conflitti e della depressione economica, “c’è sempre stato un momento in cui tutto all’improvviso si avvitava tremendamente, sfuggiva al controllo degli stessi attori sul proscenio, innescava conseguenze inimmaginate e prima cinicamente escluse o solo tatticamente adombrate, concatenazioni agghiaccianti che rotolavano verso il disastro, in un incartarsi irrazionale”. Anche le cause della Prima guerra mondiale “vanno cercate nell’apoteosi dell’arte diplomatica”, la stessa di Merkel, dice Rusconi, “vanno trovate in quel confrontarsi inesausto e lento tra nazioni, inefficace, minaccioso, in quell’attimo di pace che precedeva il tuono della guerra, in quella frazione di tempo in cui ciascun paese difendeva la sua piccola ottusa razionalità fino all’esplosione sanguinosa e incontrollata della più feroce irrazionalità umana”.
La crisi diplomatica del 1914 si consumò in quattro giorni, dal primo al quattro agosto, e fu un convulso succedersi di mosse e contromosse che rivelava quale prezzo gli attori fossero disposti a pagare per tenere fede agli impegni assunti in una logica di intimidazione e diffidenza.
Nel 1914, dunque, come nel 1938, come a Sarajevo così a Monaco, perché, dice Rusconi, “fu la diplomazia d’un grande uomo e sfortunato come Neville Chamberlain, il primo ministro inglese, a permettere che Hitler germogliasse, tenace gramigna sul fragile terreno della democrazia europea”: da un lato la lenta sicumera della diplomazia britannica, dall’altro la spregiudicata e criminale speculazione nazista, ieri. Da una parte le fredde meccaniche di un’Europa che a Bruxelles è senza volto e carattere, dall’altra il populismo semplificatore che ad Atene rifiuta il legame sovranazionale e la fatica del risanamento, oggi. E quanto più il momento sembra politico, tanto più si avvicina invece al puro gioco di scommessa: i giocatori si osservano attraverso il tavolo europeo, gli occhi iniettati di parole, incalzando quel lieto fine, quel sogno di salvezza, che tutti inseguono con affanno e persino con tormento, alternando toni minacciosi, martellanti, a improvvise pause e aperture.
Il referendum indetto da Tsipras rimette tutto nelle mani del popolo greco. “Ma questo mostro populista”, dice Rusconi, “non nasce da solo, è generato anche dalle inerzie europee, dalla rigidità e dal tecnicismo. Ho l’impressione che a Merkel non dispiaccia il referendum di Tsipras. Sospetto che poi, in fondo, sia disposta, dopo averlo vinto, a fare concessioni generose alla Grecia. Ma intanto, l’incapacità di toccare le corde del buon senso politico, questa freddezza tutta monetaria genera i mostri del populismo. E almeno Tsipras ha l’aria di aver letto un paio di libri. Qui in Italia abbiamo invece tanti piccoli Tsipras, di destra e di sinistra, che un libro non sanno nemmeno che forma abbia. Se questi prendono il potere è finita. Ma sul serio. Se lo immagina lei come sarebbe Matteo Salvini presidente del Consiglio?”.
E così sull’Europa incompiuta di Maastricht e sui paesi più deboli, perché indebitati, cala l’ombra tetra dell’effetto contagio, o effetto Tsipras, riemergono cupamente presagi che s’incarnano in parole tremendamente impalpabili come spread, differenziale, tasso d’interesse, “presagi che passano da questa entità metafisica che è la Borsa o il mercato”, dice Rusconi, “cose che per loro natura sono ciniche, vanno su e giù e talvolta anche senza un vero motivo, non fanno altro, da sempre, come la ruota di un luna park che non si ferma mai”. Il panico di Borsa, le file agli sportelli del bancomat. Da che esistono sistemi economici integrati esiste anche la paura ancestrale del crac, ne è piena l’epoca moderna, e senza citare la crisi del ’29: l’Inghilterra fu il primo paese, nel 1825, a generare una crisi moderna di Borsa con insolvenze bancarie e 3.300 fallimenti di aziende, fenomeno che si ripeté tragico ancora nel 1837, fino al grande panico del 1847 che si propagherà fino alla Francia e sarà uno dei presupposti della rivoluzione del ’48, quella della République e poi di Napoleone III.
E oggi, come allora, gli economisti s’interrogano pensosi sulla capacità di tenuta della cosiddetta economia reale. Il ministro Per Carlo Padoan perde la voce nel ripetere che l’economia italiana è più solida che nel 2011, ma poi altri si esercitano in sorde profezie che appartengono al campo semantico della reazione a catena, dell’effetto domino, alla teoria degli equilibri multipli, come ha spiegato Luigi Zingales, economista dell’Università di Chicago: “Se tutti ritirano i soldi dalle banche diventa razionale fare altrettanto”.
E allora, dice Rusconi, “siamo sempre lì. Da Hegel in poi la società occidentale è prigioniera della razionalità, anche nella sua negazione”, che si specchia nella paura, nel malumore, “e nei suoi interpreti populisti”, in Grecia come in Italia, come in Francia, persino in Olanda, quelli che hanno l’ardire suicida ed esoterico di invocare la fuoriuscita dall’euro “per esorcizzare la paura”, dice il professore, “e rendere così accettabile il malumore di cui diventano i sacerdoti”: Grillo, Salvini, Le Pen, Tsipras, Geert Wilders…
“C’è la crisi, c’è la rabbia, c’è una certa incapacità inerte delle istituzioni europee di toccare le corde giuste del sentimento popolare”, spiega Rusconi. “I tedeschi si muovono con una flemma da professorini, da educatori, loro direbbero: ‘Zuchtmeister’. Pedanti. E nel complesso, dalla costruzione europea, emana una fredda distanza, quasi ostile, comunque una certa incapacità di risolvere i guasti. L’Europa di Prodi e di Ciampi è stata costruita male, e allora monta il malumore e spuntano i maghi. I maghi servono da compenso psicologico al malumore, alla scarsa razionalità, alle cattive condizioni sociali”. E insomma è materia per storici, ma anche antropologi, sociologi e persino psicologi, psichiatri e psicoanalisti, al cui vocabolario non a caso hanno attinto gli storici delle mentalità religiose collettive, quelli che hanno riesumato dalla psicoanalisi junghiana termini come “incoscio collettivo” e “archetipi”.
E come maghi o stregoni, i Grillo e i Salvini d’Europa offrono un occultismo composto di pernacchie e vaffanculi, felpe e ruspe, democrazia diretta via internet e soluzioni semplici come un prelievo al bancomat. In Grecia vincono le elezioni in nome di promesse che non si possono mantenere. E davvero sembra il magico sabba medievale, il mondo carnevalesco descritto nei libri di Carlo Ginzburg, un modo per esorcizzare la paura e allontanare fame, povertà, rabbia: “Il sabba è un mondo alla rovescia, cui si accede con invocazioni magiche che sono preghiere invertite (il padre nostro detto all’incontrario), in cui la messa viene parodiata, le ostie sono nere, i cibi sono insipidi, il coito è doloroso e non dà piacere, la divinità è il diavolo, cui si rende omaggio baciandogli il sedere”, scrive Ginzburg in un suo famoso saggio su folclore, magia e religione pubblicato nella Storia d’Italia Einaudi. “Ma il sabba”, conclude Ginzburg, “realizza anche, in forma allucinatoria, la terrestre utopia del paese di Cuccagna: si mangia a crepapancia, si godono le donne più belle, si indossano velluti e broccati, ci si riempie le tasche di monete d’oro – anche se naturalmente poi tutto scompare e si ritorna alla vita miserabile di tutti i giorni”.
“E sono fenomeni potenti e regressivi”, riprende Rusconi. “Anche subito dopo la Prima guerra mondiale dominò la paura, con i fascismi e i comunismi, con il biennio rosso, con il timore che avvolgeva la borghesia. E Mussolini in Italia fu il sacerdote di quella paura. Ma dopo la guerra cambiò tutto: il comunismo, e le ideologie, seppero orientare, placare, convogliare e dare un orizzonte”. Il 3 novembre 1977, al culmine di questo fenomeno, Enrico Berlinguer pronunciò queste parole, a Mosca, di fronte al Politburo e alla dittatura del Soviet: “Il Partito comunista italiano è sorto anche sotto l’impulso della rivoluzione dei Soviet. Ma esso è poi cresciuto… L’esperienza compiuta ci ha portato alla conclusione che la democrazia è oggi non soltanto il terreno sul quale l’avversario di classe è costretto a retrocedere, ma è anche il valore storicamente universale sul quale fondare una originale società socialista”. Nota dunque Rusconi: “Il populismo, invece, che è figlio della crisi delle ideologie, è paura senza orizzonte”, e allora diventa spasmo plebeo, come nell’Italia delle ruspe e dei forconi, o diventa irrazionalità al governo, come in Grecia, dove Tsipras ha arrestato il processo delle riforme, riconsegnato il suo paese alla recessione e adesso anche condannato l’Europa all’incertezza. “Ed è stupefacente la teoria dell’uscita dall’euro”, dice Rusconi. “Stupefacente per il suo picco irrazionale, dunque magico”.
Ed ecco allora la web democrazia, la voglia di strappare i trattati internazionali, il sogno della rivoluzione, dell’autarchia, della Dracma e della Lira. Ecco la fantasiosa caramella per allocchi del salario di cittadinanza che mette d’accordo Grillo e Maroni, ed ecco il miraggio inquietante d’una società di puri e di eguali in cui “uno vale uno”, come nei romanzi di Orwell. Ancora un po’ di questa paura, ancora un po’ di euroburocrazia, di merkeliana lentezza, di discredito istituzionale e crisi economica, e il populismo potrebbe diventare la nuova religione, la Casaleggio Associati la nuova casta sacerdotale, con la felpa di Salvini, o quella di Maurizio Landini, addosso. E’ già successo tutto questo, tantissimi anni fa, in un’altra società che si vantava ricca e progredita, in un triangolo di terra fra il Tigri e l’Eufrate. Si chiamava Babilonia.
Twitter @SalvatoreMerlo
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