Scusate ma la sovranità del valoroso popolo greco stavolta non c’entra nulla
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Il caso greco non è, come pensano al Financial Times, un incidente irrazionale: è una logica
di Giuliano Ferrara | 29 Giugno 2015 ore 17:09 Foglio
Non vuoi seriamente modernizzare il tuo sistema, continui a trafficare con finte tassazioni, rinvii tutti i problemi della spesa pubblica a un incerto domani? E allora resti senza un euro, vai al confine con il fallimento, minacci di non onorare i tuoi debiti anche ristrutturati e prorogati ad infinitum, e ti tocca decidere: o l’euro o la dracma, o un governo antagonista o un governo di cooperazione europea.
Il caso greco insegna questo. La tesi del Financial Times è che si tratta di un problema dalle soluzioni possibili avvolto in un’aura di impossibilità. E’ una tesi errata, quasi superstiziosa (l’aura), è la teoria dell’incidente irrazionale. Ed è teoria tipica di una alta cultura tecnico-finanziaria, che considera però questioni di storia e di sovranità come degli impicci nel funzionamento del self interest e del mercato. Io penso che l’euro sia stata e sia una buona cosa, e rispetto ovviamente le opinioni contrarie, ma quel che è certo è che se qualcosa di serio non ha funzionato e non funziona, questo qualcosa dipende appunto dalla scarsa considerazione delle questioni che storia e politica pongono a chi forgia strumenti di mercato e politiche economiche e finanziarie, specie se sovranazionali.
Niente è mai inevitabile quando è in ballo la politica. Il fondo della politica è tragico, e dunque parla di inevitabilità degli eventi (le tragedie questo sono: un esito inevitabile e infausto), ma la politica è strumento flessibile, esposto al compromesso non meno che alla rottura, è appunto anche la tecnica per evitare tragedie e melodrammi. Se le cose sono arrivate a questo punto, e il rapporto tra il governo di estrema sinistra di Atene e l’Unione europea è degenerato fino alla rissa sui quattrini, sui debiti, ci deve essere una ragione, come che si dispongano ora le cose giorno dopo giorno, nel precipitarsi verso lo sconquasso potenziale.
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La ragione è meta-politica. Riguarda una variante inedita: la relazione tra sovranità nazionale, diritti umani e mercati finanziari. Per tipi come Varoufakis e Tsipras, marxisti immaginari (come li potrebbe definire Vittoria Ronchey), il mondo occidentale si divide tra popoli-nazione titolari di diritti imprescrittibili al welfare e poteri tecnocratici e sovranazionali che seguono la logica di un capitalismo di rapina. Thomas Piketty, la faccia à la page dell’economia ultraliberal internazionale, dice che non ce l’ha affatto con il capitalismo, ma aggiunge che non lo spaventa per niente l’idea di una tassazione al 90 per cento correttiva delle sue iniquità. Questa band of brothers, antagonisti vari e schegge impazzite dell’establishment finanziario mondiale, quanto all’Europa, non vuole capire, e nel caso greco non vuole capire per ideologia e per gola, su che base si è costruito uno spazio economico e finanziario tendenzialmente unificato per quasi mezzo miliardo di cittadini europei.
C’è una carta dei diritti individuali, certo; c’è una alienazione di sovranità nazionale, ovvio; ma c’è sopra tutto una logica dei trattati e dei comportamenti contrattuali che legano soggetti liberi e indipendenti in uno spazio comune sovrano che ha delle regole invalicabili. Non esiste un diritto al welfare in nome di una crisi umanitaria, il nuovo termine con cui si designano i guasti e le sofferenze di una depressione economica le cui ragioni sono sotto gli occhi di tutti (un sistema arcaico di mediazioni corporative, un accrocco ingestibile di clientelismi prodotti da una lunga storia di irresponsabilità e di privilegi diffusi).
Non cadete nell’errore di pensare che i greci sono espressione del modello classico della sovranità democratica (il mandato popolare elettorale, la “soluzione politica”, quell’imbroglio gigantesco che è il referendum demagogico appena convocato eccetera), mentre tutti gli altri sono oppressori della sovranità in nome dei mercati aperti e del loro greed, della loro avidità usuraia verso i debitori. Ho sostenuto, e ne resto convinto, che la cultura protestante dei tedeschi, il che è esemplificato nell’identità lessicale e concettuale di debito e colpa (Schuld), li rende rigidi anziché flessibili di fronte ai problemi di economia reale e di mercato. Ma il moralismo luterano della figlia del pastore non spiega tutto, è una componente del quadro generale che pesa quando si parli di flessibilità e di politiche di crescita ma che nel caso greco non si è fatta sentire affatto. Qui è come se al posto della riforma Fornero o della strategia di Letta e Renzi, per quanto differenti, in Italia ci fossimo affidati a Nichi Vendola e Flores d’Arcais e Barbara Spinelli: saremmo probabilmente già fuori, e con pieno merito.
Il caso greco è di una semplicità disarmante, e su questo il provocateur Francesco Giavazzi ha sostanzialmente ragione. Nonostante lo sforzo risanatore dei conservatori di Samaras, legati al Pasok in una politica di salvezza nazionale fino alla vittoria squillante e demagogica del partito di Syriza, in nome di promesse che non si potevano mantenere, le classi dirigenti elleniche non mostrano storicamente né la volontà né la forza per rimettere su una strada sostenibile, in un’economia di mercati aperti e in un legame sovranazionale, il loro dissestato paese. Per questa ragione, e non per moralismo, il fiume di denaro impegnato per il benessere dei greci e per il funzionamento del sistema euro in relazione all’economia bancaria greca, comprese ristrutturazioni del debito sulle spalle dei privati, non può continuare a fluire senza contropartite adeguate. E il giudizio sulle contropartite non lo danno gli elettori di Syriza né i suoi simpatici ministri un po’ imbroglioni, ma trattative serie con i creditori, che rappresentano pezzi di sovranità e di democrazia, oltre che logiche stringenti di mercato. Non vuoi seriamente modernizzare il tuo sistema, continui a trafficare con finte tassazioni, rinvii tutti i problemi della spesa pubblica a un incerto domani? E allora resti senza un euro, vai al confine con il fallimento, minacci di non onorare i tuoi debiti anche ristrutturati e prorogati ad infinitum, e ti tocca decidere: o l’euro o la dracma, o un governo antagonista o un governo di cooperazione europea. Non è, come pensano al Financial Times, un incidente irrazionale: è una logica. E non è la sovranità del valoroso popolo greco contro l’irresponsabilità della Banca centrale o del Fondo monetario o dei governi del nord: è una logica in un’epoca in cui la politica può sempre molto, ma up to a point.
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