E ora tutti a dire che l’islam, con il terrorismo, non c’entra nulla
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Ci sono due modi diversi per osservare e commentare l’orrore e il terrore seminati venerdì scorso in Francia, in Tunisia, in Kuwait, in Somalia dallo Stato islamico durante il primo venerdì di preghiera del Ramadan
di Claudio Cerasa | 28 Giugno 2015 ore 11:27 Foglio
In fondo è semplice e dipende tutto dall’aggettivo. Ci sono due modi diversi per osservare e commentare l’orrore e il terrore seminati venerdì scorso in Francia, in Tunisia, in Kuwait, in Somalia dallo Stato islamico durante il primo venerdì di preghiera del Ramadan. Il primo modo è quello di condannare il terrorismo, di professare grandi attestati di vicinanza e di solidarietà nei confronti dei paesi colpiti, di inviare commoventi telegrammi a mezzo stampa e di utilizzare il proprio account Twitter per invocare la pace nel mondo e condannare in modo neutro gli attentati terroristici, provando a concentrarsi più sulla prima parte del problema (il terrorismo) che sulla seconda (l’islam), ed evitando che un eccesso di aggettivi possa essere letto come una volontà di offendere l’islam e di alimentare l’islamofobia (ciao Michele Serra).
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Vincino Il Foglio E così, lo avete visto, le stragi diventano semplicemente “attacchi terroristici”. Il secondo modo è quello di spazzolare via la patina furbetta del politicamente corretto, di chiamare le cose con il loro nome e di non nascondere quella che è la parola che tutti in questi casi provano a mettere sotto il cuscino: l’islam, signora mia. Noi siamo per la seconda scuola, siamo per la scuola di chiamare le cose con il loro nome, di riconoscere che il problema del terrorismo islamico non è solo un problema legato ad alcuni pazzi squilibrati che si fanno saltare in aria, che attaccano le moschee sciite, che fucilano turisti sulla spiaggia, che immergono nell’acido gli ostaggi, che fanno sfilare con le tutine arancioni i loro prigionieri.
Il nemico, il nostro nemico, non è solo il terrorismo in quanto tale ma è anche l’idea di cui il terrorismo è il prodotto. E quell’idea, purtroppo, è legata a una precisa interpretazione dell’islam. Esiste infatti un islam che in alcuni casi può essere considerato moderato – è il caso del Re di Giordania, è il caso del presidente Sisi, è il caso del Marocco e della Tunisia (che anche per questo, la Tunisia, simbolo di emancipazione e di libertà nel mondo islamico, è finita sotto assedio ed è bombardata da mesi da attentati provocati da terroristi islamici, e la strage sulle spiagge arriva poco dopo la strage al museo del Bardo). Ma è un islam minoritario, non a caso sotto attacco, che in troppi casi è costretto a osservare un islam anche di governo che rinuncia a prendere le distanze dagli islamisti, rinuncia a scendere in piazza per manifestare contro l’integralismo, lasciando ai re di Giordania e a pochi altri il compito di condannare il fondamentalismo. Per questo, anche per questo, non si può far finta di niente e fischiettare di fronte al problema che esiste all’origine del terrorismo islamico. Ed è sciocco, come scrive magnificamente Ayaan Hirsi Ali nel suo ultimo libro (Eretica), insistere sul fatto che le azioni violente degli islamisti radicali possano essere separate dagli ideali religiosi che li ispirano. “Dobbiamo – scrive Hirsi Ali – riconoscere che tali azioni sono mosse da un’ideologia politica, un’ideologia insita nello stesso Islam e nel suo libro sacro, come pure nella vita e negli insegnamenti del profeta Maometto. Quando si afferma che l’Islam non è una religione di pace non si vuole dire che sia il credo islamico a rendere i musulmani violenti. E’ ovvio che non è così: ci sono milioni di musulmani pacifici nel mondo. Quello che si intende è che l’appello alla violenza e la sua giustificazione sono esplicitamente presenti nei testi sacri dell’islam. E questa violenza autorizzata dalla teologia è lì per essere innescata da un certo numero di infrazioni tra cui l’apostasia, l’adulterio, la blasfemia e persino concetti difficili da definire come la minaccia all’onore della famiglia o dell’islam stesso”.
La visione politica e totalitaria dell’Islam non è una visione univoca ma è una visione che ha un suo peso importante nel mondo islamico, e non è soltanto una scheggia impazzita ma è un pezzo di quel mondo che ha un suo peso numerico non indifferente (Ed Husain del Council on Foreign Relations sostiene che i musulmani della Medina che vogliono imporre la sharia anche ai miscredenti sono circa il tre per cento musulmani, ed essendo nel mondo i musulmani 1,6 miliardi il tre per cento significa che si parla di circa 48 milioni). Dunque, prego, accomodatevi. Continuate a dire che non c’entra nulla. Che il problema sono soltanto i pazzi squilibrati. Che il reato di blasfemia è un peccato punito con la morte solo dai tagliagole dello Stato Islamico. Continuate a ignorare che in Pakistan ogni affermazione critica nei confronti dell’Islam viene bollata come blasfemia e punita con la morte e che in Arabia Saudita chiese e sinagoghe sono considerate fuori legge. Continuate a far finta che non esista (copyright Carlo Panella) un grande scisma nel mondo islamico che si trova alla radice della violenza di oggi. E continuate pure a perdervi nei dettagli e a dire “siamo tutti Charlie” solo quando fanno fuori i giornalisti e i vignettisti di Charlie per poi ripetere che “offendere il sacro è comunque grave” e una “reazione” in alcuni ci può stare.
Spiace ma questo non è il tempo di difendere chi vuole reagire ma è il tempo di dire che ciò che è sacro è altro, ed è la libertà d’espressione, la libertà di critica. E che oggi, questa libertà d’espressione, e questa libertà di critica, in un certo senso va difesa più della stessa libertà di reazione. E’ il momento di dire che, se si vuole evitare che i trucidati dai terroristi islamici non siano morti invano, bisogna far nostre, destra e sinistra, centro, cristiani, ebrei, musulmani, le parole sacrosante messe insieme dopo il 17 gennaio in Francia dal premier Manuel Valls. Chiamiamo le cose con il loro nome. Non generalizziamo ma usiamo l’aggettivo. E non copriamoci gli occhi. Il terrorismo islamico è un problema che riguarda anche l’islam. Ed è anche per questo che bisogna mettere le cose in chiaro. E ricordare, per esempio, che chi in queste ore gioca con la parola “islamofobia” usa la stessa arma utilizzata dagli apologeti dell’islamismo per mettere a tacere i loro critici.
In fondo dipende tutto dall’aggettivo. E dipende tutto dal voler considerare quello che succede nel mondo, con il terrorismo, senza chiudere gli occhi e senza mettere la testa sotto la sabbia. L’islam purtroppo c’entra, e prima o poi anche i Michele Serra dovranno farsene una ragione.
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