La vittoria antropologica di Obama e dei giudici “postmoderni”
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La Corte suprema ha approvato: il matrimonio gay in America non è più negoziabile
di Mattia Ferraresi | 27 Giugno 2015 ore 06:18
New York. Il matrimonio gay in America è un diritto. Non più soltanto un fascio contraddittorio di leggi locali esposte ai cavillosi venti della giurisprudenza, ma un diritto universale protetto dalla Costituzione, da quel quattordicesimo emendamento nato per proteggere gli afroamericani dopo la guerra civile e che ha fatto da base per alcune delle più importanti svolte sociali del secolo scorso: la fine della segregazione (1954), l’aborto (1973) e ora il matrimonio fra persone dello stesso sesso. Non è un giorno storico, come si dice, soltanto perché dà accesso al matrimonio per gli omosessuali, ma perché si tratta di una benedizione concettuale e giuridica inesorabile, una rivoluzione a livello antropologico e culturale, un sigillo definitivo apposto sulla base dell’ultimo collante dell’identità americana, la Costituzione. Si capisce che Barack Obama esulti, perché le nozze passano da conquista legislativa a diritto inalienabile: “Le coppie gay e lesbiche hanno il diritto di sposarsi, come tutti gli altri”, ha scritto su Twitter, lanciando l’hashtag #LoveWins, il corrispettivo trionfante del #LoveisLove usato quando la Corte ha aperto la prima, decisiva breccia per il matrimonio gay.
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Con il volto calmo e soddisfatto di chi ha contribuito a salvare il mondo – e di chi ha incassato una spettacolare vittoria politica, la seconda in due giorni – Obama ha commentato la sentenza nel Rose Garden: “A volte ci sono giorni così, in cui un lento, incessante sforzo viene ricompensato dalla giustizia come un fulmine”. E’ andata come era lecito aspettarsi: la Corte ha approvato la decisione di misura, 5 a 4, e il giudice Anthony Kennedy ha fornito ai liberal il voto decisivo e ha scritto la motivazione. Che inizia con una premessa che è il trionfo dell’antropologia della modernità nella sua versione americana: “La Costituzione promette libertà a tutti all’interno dei suoi limiti, una libertà che include alcuni diritti specifici che permettono alle persone, all’interno del reame della legge, di definire ed esprimere la propria identità”. Definire ed esprimere la propria identità è il diritto generale sul quale il diritto specifico del matrimonio ha costruito la propria fortuna culturale e giuridica. Sotto la sacrale protezione della Costituzione, chiunque nega agli omosessuali il diritto al matrimonio “disprezza la loro scelta e sminuisce il loro status di persone”, conseguenza inappuntabile una volta accettata la premessa: l’autonomia individuale, la capacità di definire se stessi in rapporto alla propria coscienza e alla società è il fattore antropologico dominante.
Il matrimonio diventa una sovrastruttura senza soggetti specifici, una scatola vuota che massimizza l’ordine sociale e preserva la cura dei figli. La motivazione contraria alla maggioranza “postmoderna” del giudice Samuel Alito mette in luce un altro aspetto della sentenza, l’enorme potere della Corte nello stabilire nuovi diritti: “Se una maggioranza di giudici può inventare un nuovo diritto e imporre quel diritto al resto del paese, il solo vero limite a quello che future maggioranze potranno fare è ciò che chi detiene il potere politico e l’influenza culturale vorrà tollerare. Anche i sostenitori entusiasti del matrimonio gay dovrebbero essere preoccupati dall’estensione del potere che l’attuale maggioranza si sta arrogando”.
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