Tsipras stringi quella mano, cazzo!
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Tra banche senza soldi e calma surreale, siamo al gran finale del poker greco. Stasera Atene deve decidere se accettare l’offerta europea o procedere al fallimento
di Redazione | 22 Giugno 2015 ore 09:47 Foglio
Se la Grecia non ripagherà il 30 giugno gli 1,6 miliardi dovuti al Fmi farà default. Lo stesso giorno scade poi il programma di aiuti della Troika e senza un accordo non sarà prorogato. Nel frattempo il governo di Alexis Tsipras ha 4 miliardi di entrate al mese e uscite per 4,1 miliardi solo di stipendi e pensioni. Tutti gli altri pagamenti sono stati sospesi [1].
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Tsipras Il tempo a disposizione per negoziare stavolta sembra davvero finito, soprattutto perché i creditori (Ue, Bce, Fmi) mostrano una reale stanchezza nei confronti del tira e molla di Atene. Le parole del presidente Ue Donald Tusk non lasciano spazio a interpretazioni: «Siamo vicini al momento in cui il governo greco deve scegliere tra accettare una buona offerta e un sostegno continuato o procedere verso il fallimento» [2].
I creditori vogliono che la Grecia faccia passi nella direzione delle proposte presentate dall’establishment comunitario all’inizio di questo mese: riforme nel campo delle pensioni, del diritto del lavoro, della tassazione. Tsipras ha sempre detto di volere un accordo al massimo livello. Nei prossimi giorni avrà le ultime due possibilità di ottenerlo: oggi al Consiglio dei leader dell’area euro e giovedì a quello dell’Unione europea [3].
Dopo queste due date arriverà quella del 30 giugno, giorno in cui la Grecia dovrà rimborsare il Fondo Monetario Internazionale. Soldi che Atene non ha, a meno che nel frattempo non abbia raggiunto un accordo, in modo da sbloccare l’ultima tranche da 7,2 miliardi del vecchio piano di aiuti della Troika da 240 miliardi [4].
Secondo gli strategist di Amundi, Didier Borowski e Tristan Perrier, un compromesso potrebbe essere trovato anche dopo il 30 giugno. La Bce continuerebbe a fornire la liquidità di emergenza alle banche greche per consentire il proseguimento delle trattative. La situazione precipiterebbe definitivamente se la Grecia dovesse risultare insolvente nei confronti della Bce stessa il 20 luglio. Che è il giorno in cui Atene dovrà rimborsare la prima metà di una tranche di 7,2 miliardi all’istituto presieduto da Mario Draghi. Pertanto c’è ancora una possibilità di trattativa fra il 30 giugno e il 20 luglio [4].
La scorsa settimana, in questo quadro concitato, Tsipras è andato in Russia per firmare con Putin l’intesa sul passaggio in territorio greco del Turkish Stream: il nuovo gasdotto russo-turco. Bonanni: «Mentre l’Europa si arrovella sul futuro di Atene, il premier greco ha giocato di nuovo – come in una partita di poker – la carta dell’asse con Vladimir Putin. Portando a casa qualcosa di più concreto del solito ma soprattutto lanciando messaggi in codice a Bruxelles e alla Nato: “Siamo marinai abituati a navigare nelle tempeste. Sapremo uscirne anche navigando in altri mari”». Tradotto: non tirate troppo la corda, altrimenti Atene molla il Patto Atlantico e – in assenza di nuovi aiuti in euro – affiderà il suo futuro al rublo e all’alleanza storica e religiosa con la madre Russia [5].
Fubini: «Tsipras è riuscito a resistere a quattro mesi di negoziati fallimentari solo perché ha imposto ai greci un’austerità più dura di quella che di fronte all’Europa sta rifiutando». Settimana scorsa il governo di Atene ha pubblicato i conti dei primi cinque mesi dell’anno. Il messaggio di superficie di quei numeri è che la Grecia, paradossalmente, sta meglio di un anno fa. A una seconda occhiata prende corpo il profilo di un Paese sull’orlo del tracollo [6].
Il mese scorso, per esempio, la spesa pubblica è risultata di quasi 600 milioni di euro al di sotto degli obiettivi. In proporzione, è come se il governo italiano in un solo mese risparmiasse cinque miliardi più del previsto. Nei primi cinque mesi dell’anno le uscite per la Grecia sono state addirittura di due miliardi e mezzo al di sotto di quanto messo in bilancio. Ma la spesa è stata tagliata dal governo di Syriza solo grazie a un vero e proprio default verso l’interno del Paese. Le imprese fornitrici dell’amministrazione hanno accumulato arretrati per centinaia di milioni, mentre l’intero bilancio è impegnato per pagare le pensioni e gli stipendi degli statali [6].
Intanto i cittadini greci si adeguano evitando a loro volta di versare le imposte: a maggio le entrate sono crollate di quasi un miliardo rispetto agli obiettivi. Fubini: «Questa lenta spirale dei pagamenti dà la misura di ciò che può accadere tra qualche settimana, se davvero la Grecia diventasse insolvente verso i creditori internazionali. Il governo sarebbe tagliato fuori da qualunque canale di finanziamento estero e i contribuenti farebbero di tutto pur di non pagare altre tasse. Senza accordo in Europa, Tsipras si troverebbe in breve tempo di fronte ad un’alternativa poco invidiabile: abbattere drasticamente la spesa, dato che il governo da ora in poi può solo autofinanziarsi, oppure creare nuovi mezzi di pagamento per far fronte agli impegni». E questa è la via che porta fuori dall’euro [6].
Dal punto di vista strettamente politico, è piuttosto razionale per il governo greco posticipare il raggiungimento di un compromesso formale fino all’ultimo minuto. Ciò dimostrerebbe agli elettori e al parlamento che i membri del governo hanno fatto il massimo per ottenere il miglior accordo possibile, cosa molto importante per assicurare la stabilità politica. Logica vuole che anche la controparte, ovvero i creditori, concedano qualcosa in cambio. E il premier ellenico ha ripetutamente detto che si può trattare su tutto a eccezione delle pensioni. E sarebbe piuttosto incredibile se l’accordo saltasse, rischiando un bagno di sangue nei mercati finanziari di tutto il mondo e la fine del dogma dell’irreversibilità dell’euro, a causa dell’accanimento di Ue e Fmi contro i pensionati greci, il 40% dei quali prende 665 euro al mese [7].
La scommessa, adesso, per i greci è quella di riuscire ad arrivare al vertice straordinario di stasera con le banche ancora aperte. Tecnici, banchieri centrali e leader politici sono al lavoro per cercare di evitare il default, nelle poche ore che mancano prima del vertice. Ma la discesa di Atene verso la bancarotta non si misura più solo sui dettagli dell’accordo che potrebbe sbloccare gli aiuti europei. A muovere le lancette è anche la corsa dei risparmiatori a ritirare i depositi dalle banche [5].
Negli ultimi tempi il ritmo dei prelievi aveva raggiunto il livello di seicento milioni al giorno. Poi, negli ultimi quattro giorni, sono stati ritirati 4,2 miliardi (i depositi rimasti sono 127 miliardi). Il presidente della banca centrale ellenica assicura che il sistema è solido. Ma quanto si può andare avanti prima che le autorità siano obbligate e chiudere gli istituti e a imporre limiti ai prelievi come successe a Cipro nel 2013? [5].
Il 16 marzo del 2013 i ciprioti si svegliarono con le banche chiuse (lo restarono per due settimane) e l’impossibilità di prelevare dai bancomat più di 300 euro al giorno su ciascun conto. Impossibili anche i trasferimenti da conto a conto sulla stessa banca, e impensabile andare all’estero con più di 5.000 euro in contanti addosso. Inoltre, nessuno accettava più assegni, considerati carta straccia in quanto potevano essere depositati ma non incassati [7].
Nell’immediato, dunque, il potere di staccare la spina alla Grecia è nelle mani della Bce. Venerdì 19 l’istituto di Francoforte ha aumentato la liquidità d’emergenza a disposizione del sistema bancario ellenico di 1,8 miliardi. Solo che la Banca centrale greca di miliardi ne aveva chiesti 3. Draghi ha invece concesso alla Grecia il minimo necessario per stare in piedi ancora oggi, lunedì 22, non un giorno di più [7].
Intanto nella Grecia delle meraviglie, dove solo i greci hanno ragione, «Vulì», la tv del Parlamento, sta affossando tutte le altre con uno share di ascolti del 30-40%. Un’anomalia a livello mondiale. È come se «Radio Radicale» surclassasse Tutto il calcio minuto per minuto. «Vulì» trasmette in diretta le udienze della «Commissione della verità sul debito pubblico». Si parla di ministri corrotti, tangenti pagate da Siemens, di appalti regalati a ditte tedesche e francesi. Della congiura dei pochi ricchi e fortunati contro disoccupati e poveri. Nicastro: «Tutto aiuta, tutto contribuisce all’autoassoluzione collettiva e in più serve a passare un altro fine settimana in pace. Tanto il governo tratta per noi. Qualcosa succederà» [8].
A cura di Francesco Billi
Fonte: [1] Corriere della Sera 19/6; [2] Francesca Basso, Corriere della Sera 20/6; [3] Beda Romano, Il Sole 24 Ore 20/6; [4] Marcello Bussi, MilanoFinanza 20/6; [5] Andrea Bonanni, la Repubblica 20/6; [6] Federico Fubini, Corriere della Sera 19/6; [7] Marcello Bussi, MilanoFinanza 20/6; Andrea Nicastro, Corriere della Sera 20/6.