I militari USA contro un maggiore impegno contro il Califfato
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I vertici militari americani, che tradizionalmente chiedono rinforzi di fronte ad una sconfitta, si sono invece opposti nel modo più forte all’idea di un maggiore coinvolgimento delle truppe americane nella lotta contro lo Stato Islamico dopo la caduta di Ramadi
di Redazione 15 giugno 2015, pubblicato in Enduring freedom AD
AdnKronos/Washington Post - I vertici militari americani, che tradizionalmente chiedono rinforzi di fronte ad una sconfitta, si sono invece opposti nel modo più forte all’idea di un maggiore coinvolgimento delle truppe americane nella lotta contro lo Stato Islamico dopo la caduta di Ramadi. All’origine quindi della decisione di Barack Obama di continuare ad escludere un ruolo
effettivo sul terreno anche per i nuovi 450 consiglieri ed addestratori militari che invierà in Iraq, non c’è quindi tanto, o solo, il suo essere un ‘guerriero riluttante’. Ma anche, e soprattutto, un forte e deciso invito alla cautela arrivato dai vertici militari, scettici sul fatto che la forza militare possa veramente fare la differenza in conflitti basati su scontri religiosi, etnici e politici.
“Dopo 12 anni in Medio Oriente i vertici militari sono veramente concentrati nel cercare di capire quale sia l’end game, e si domandano, fino a che punto dobbiamo continuare?”, ha detto una fonte del Pentagono al Washington Post spiegando le ragioni dell’opposizione espressa dai leader militari che devono fare i conti con l’assenza di opzioni buone e la riluttanza a dover fronteggiare nuove perdite tra i militari americani.
Morti che si sarebbero dovuti assolutamente mettere in conto se il presidente avesse accettato le opzioni, definite dai militari “ad alto rischio”, che prevedono che i consiglieri militari operino nelle unità di combattimento irachene con il compito di dirigere da terra i raid aerei americani. Un piano che comprendeva anche l’utilizzo di Apache, elicotteri d’assalto efficaci nella guerriglia urbana ma anche molto vulnerabili al fuoco nemico da terra.
Sostenuta da repubblicani, compresi molti candidati alla Casa Bianca, che da mesi chiedono un maggiore coinvolgimento militare Usa, l’opzione più aggressiva è stata caldeggiata – rivela oggi il Post – anche dal dipartimento di Stato come un modo per fornire un cruciale aiuto al primo ministro sciita Haider al-Abadi e al suo governo che, senza rapide vittorie sul campo, rischia di cadere sempre di più sotto l’influenza dell’Iran che si presenta come l’unico alleato dell’Iraq in grado di dare sostegno effettivo nella lotta allo Stato Islamico.
Ma a questo punto i vertici militari si sono espressi contro l’idea di una strategia che coinvolgesse maggiormente gli americani nel conflitto, deresponsabilizzando gli iracheni.
In particolare il generale Martin Dempsey, capo degli Stati Maggiori Riuniti, ha espresso dubbi sul fatto che i vantaggi di questa strategia valessero il rischio di caduti americani.
Al contrario, ha esortato alla pazienza, affermando che la campagna aerea sta indebolendo l’IS e che bisogna allargare l’addestramento e la fornitura di armi anche alle tribù sunnite.
E lo stesso generale Lloyd Austin III, alla testa del Central Command (Centcom) che ha sviluppato il piano ad alto rischio, ha ammesso che al momento non c’è veramente bisogno di ‘spotter’ per i raid in Iraq. La stessa posizione espressa dal segretario alla Difesa Ashton Carter, mentre dal dipartimento di Stato si riteneva che la misure fosse essenziale per riconquistare Ramadi nel giro di poche settimane.
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