Perché Obama minimizza la guerra di espansione dello Stato islamico
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Ramadi e Palmira cadono nelle mani del gruppo islamista, al Congresso si parla di nuova strategia: mandare più soldati
di Daniele Raineri | 23 Maggio 2015 ore 06:03 Foglio
Roma. Il presidente americano Barack Obama minimizza la guerra di espansione dello Stato islamico. “Non stiamo perdendo. Siamo soltanto all’ottavo mese di una campagna che come ho annunciato durerà per anni”, ha detto in un’intervista al magazine americano Atlantic. Per Obama, la caduta della città di Ramadi in Iraq nelle mani del gruppo estremista avvenuta domenica scorsa è quindi un “tactical setback”, un “contrattempo tattico”. Il magazine ha pubblicato l’intervista sul suo sito giovedì, nelle stesse ore in cui anche la città siriana di Palmira (e i grandi impianti per la produzione di gas nel deserto attorno) cadeva sotto il controllo dello Stato islamico – e anche in questo caso la cronaca arrivata in occidente è disastrosa come a Ramadi: collasso delle truppe governative, esecuzioni di massa nelle strade, saccheggio degli arsenali locali. Come se le notizie in arrivo dalle due città arabe non bastassero, ieri il gruppo estremista ha rivendicato un attentato in una moschea sciita dell’Arabia Saudita che ha ucciso venti persone, dichiarando l’inizio delle sue operazioni nel regno. Due mesi fa lo Stato islamico ha rivendicato cinque attacchi suicidi in cinque moschee diverse (140 morti) per annunciare in modo simile l’inizio delle operazioni in Yemen.
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Il Wall Street Journal fa del sarcasmo facile: “Se questo è vincere, chissà allora come sarebbe perdere”. Il sito Politico nota che il presidente americano usa con disprezzo malcelato l’aggettivo “tattico” perché si contrappone a “strategico”, che invece è un aggettivo che nel politichese di Washington ha connotazioni “quasi mistiche”. Chi è tattico è un mero dilettante, gioca a breve termine ed è destinato all’insuccesso finale per definizione e quindi secondo Obama il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi non ha una strategia all’altezza delle sue ambizioni militari, si muove giorno per giorno e sta improvvisando. Si tratta delle stesse critiche che in questi giorni stanno arrivando in America alla strategia dell’Amministrazione Obama in Iraq e in Siria – o meglio, alla totale mancanza di una strategia (tutti ricordano il “We don’t have a strategy yet”, non abbiamo ancora una strategia pronunciato dal presidente davanti ai giornalisti a fine agosto 2014, quando ormai lo Stato islamico s’era preso una grande parte di Iraq). L’ex segretario alla Difesa di Obama, Robert Gates, martedì ha detto in tv: “Non abbiamo una vera strategia. In pratica stiamo facendo questa guerra giorno per giorno”. Le notizie rafforzano questa sensazione. Mercoledì il Pentagono ha annunciato l’invio urgente all’esercito iracheno di mille missili controcarro, già dalla prossima settimana, per distruggere i camion bomba suicidi che aprono varchi nelle loro difese (a Ramadi lo Stato islamico ha usato trenta camion bomba in tre giorni). Giovedì, però, come per un ricalcolo dell’ultimo minuto, il Pentagono ha detto che manderà in Iraq duemila missili controcarro. E’ il giorno per giorno. Il raddoppio annunciato è stato accolto da una salva di commenti sarcastici sul fatto che potrebbero finire presto in mano allo Stato islamico, come già successo a parte dell’equipaggiamento americano lasciato in Iraq.
Martedì al Congresso c’è stata un’audizione davanti alla commissione Difesa, in cui esperti e senatori hanno convenuto senza giri di parole che l’America sta perdendo la guerra contro lo Stato islamico. Gli esperti ascoltati hanno raccomandato un cambio di strategia – perché la campagna aerea in corso non è sufficiente – e hanno toccato un argomento tabù per l’Amministrazione, l’invio in Iraq di più soldati (il numero finale proposto è quindicimila).
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