Le alleanze fragili di Obama. Cosa rischia l’occidente se la mano tesa all’Iran piega l’asse tra America e sauditi
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Due giorni dopo che la Casa Bianca ha annunciato la presenza del re saudita al summit del Consiglio per la cooperazione del Golfo, una telefonata del ministro degli Esteri di Riad ha smentito la notizia
Il presidente americano Barack Obama e il re saudita Salman a Riad a gennaio per la cerimonia funebre del predecessore al trono saudita Abdullah
di Mattia Ferraresi | 12 Maggio 2015 ore 06:08 Foglio
New York. Due giorni dopo che la Casa Bianca ha annunciato la presenza del re saudita al summit del Consiglio per la cooperazione del Golfo, una telefonata del ministro degli Esteri di Riad ha smentito la notizia. Re Salman non sarà a Camp David per l’incontro ospitato da Barack Obama domani e giovedì con Emirati arabi uniti, Qatar, Kuwait, Bahrein e Oman, per “riprendere le consultazioni su un ampio spettro di questioni regionali e bilaterali”, come da nota ufficiale, e al suo posto invierà due emissari: il ministro dell’Interno Mohammed bin Nayef, elevato di recente al primo posto nella linea di successione al trono, e il figlio ventinovenne Mohammed bin Salman, ministro della Difesa e nuovo punto cardinale nella geografia del potere saudita.
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Ufficialmente Salman non ci sarà perché il summit si sovrappone al cessate il fuoco di cinque giorni in Yemen che permetterà l’invio di aiuti umanitari (Washington ha fatto molta pressione per ottenere una tregua umanitaria), circostanza che richiede la presenza del leader in patria, ma la defezione non può che essere letta come un messaggio politico per Obama, alleato colpevole di negoziare con l’Iran, il nemico giurato della potenza sunnita. Il Consiglio per la cooperazione del Golfo, del resto, era nato in seguito alla rivoluzione di Khomeini per consolidare l’asse anti iraniano, e questa settimana quattro leader su sei non si presenteranno di persona a Camp David. La Casa Bianca cerca di minimizzare l’attrito con l’alleato saudita, analisti e giornali vicini all’Amministrazione presentano la circostanza come un’ottima opportunità per prendere le misure con il giovane ministro della Difesa, oggetto misterioso della famiglia.
Il giovane Salman ha fama di uomo imprevedibile e accentratore, una ricognizione americana può essere utile, ma il viaggio disdetto all’ultimo, dopo che il re la settimana scorsa aveva confermato di persona a John Kerry l’intenzione di esserci, è l’esito naturale di una serie di frizioni che mettono alla prova l’alleanza con Washington. Le trattative nucleari con l’Iran, che Riad percepisce come un pericoloso atto di riabilitazione del regime da parte di Washington, sono il cuore della disputa, ma da quando è salito al trono, dopo la morte del re Abdullah, Salman ha preso a costruire una politica estera con un profilo di autonomia rispetto a quella di Obama. La decisione di buttarsi a capofitto nella guerra in Yemen in chiave anti iraniana (molte voci nell’Amministrazione americana tendono a minimizzare il legame con Teheran dei ribelli Houthi che hanno preso il potere), gli aiuti ai ribelli siriani, l’appoggio a fazioni islamiste conservatrici all’interno del paese e all’esterno, per consolidare il fronte sunnita, non sono state particolarmente apprezzate dall’America. La decisione di negare la vendita degli F-35 agli alleati arabi, per lasciare a Israele il vantaggio militare nell’area, non è stata presa bene dai membri dell’alleanza che si ritrova a Camp David, così come non è piaciuta la disinvoltura con cui Obama ha messo in guardia il regime saudita dalle minacce “interne” in un’intervista con Tom Friedman del New York Times. La stabilità dei regimi, ha detto Obama, è messa a repentaglio da “popolazioni che, in alcuni casi, sono alienate, giovani che sono disoccupati, da un’ideologia distruttiva e nichilista e, in alcuni casi, dalla convinzione che non esistano contesti politici legittimi per esprimere il proprio dissenso”.
Obama non ha predetto un rovesciamento del regime da parte del popolo, ma il senso del riferimento non è sfuggito a nessuno, specialmente nel momento in cui Salman all’interno sembra aver fermato anche quel minimo, talvolta impercettibile, venticello di riforme promosso – o tollerato – dal suo predecessore al trono, mentre all’esterno non ha altra protezione se non quella americana. Salman non può certo trovare rifugio sotto l’ombrello di Mosca e Pechino, protettori dell’odiato nemico sciita. Si sta configurando quello che l’analista Karim Sadjadpour ha sintetizzato parlando con i cronisti del New York Times: “La percezione che si sta affermando alla Casa Bianca è che gli Stati Uniti e l’Arabia sono amici ma non alleati, mentre l’America e l’Iran sono alleati ma non amici”. Salman non va a Camp David per sottolineare quanto gli è sgradita questa evoluzione.