L’università inglese che si domanda “se Israele ha diritto di esistere”
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Il convegno internazionale a Southampton salta “per ragioni di sicurezza”. L’ex ministro inglese del Tesoro, Mark Hoban, aveva parlato di “un incontro che mette in discussione e delegittima l’esistenza di uno stato democratico”. Casi analoghi in Italia
di Giulio Meotti | 18 Aprile 2015 Foglio
Roma. L’ex ministro inglese del Tesoro, Mark Hoban, aveva parlato di “un incontro che mette in discussione e delegittima l’esistenza di uno stato democratico”. L’evento in questione avrebbe dovuto svolgersi alla Southampton University, una delle più prestigiose università pubbliche del Regno Unito, in cima alla lista delle migliori cento del mondo. Lo stato democratico era, ovviamente, Israele.
Alla Southampton si sarebbe dovuto tenere in questi giorni un grande convegno internazionale in cui a essere in discussione non era la politica di Israele, ma la sua “natura”, il suo “diritto all’esistenza”. Un delirio anti israeliano in cui “la colpa” di Israele è una “colpa originaria”, legata alla nascita stessa dello stato ebraico. Contro la conferenza di tre giorni, dal titolo “International Law and the State of Israel: Legitimacy, Responsibility and Exceptionalism”, erano state raccolte seimila firme che ne chiedevano la cancellazione. La presidenza della facoltà, adducendo “ragioni di sicurezza”, alla fine ha sospeso la conferenza. Il caso è arrivato alla High Court di Londra, che ha dato ragione ai critici dell’evento accademico. C’erano dunque tutti gli ingredienti per un grande scandalo che da giorni domina i quotidiani britannici. La conferenza non aveva mai fatto mistero dell’obiettivo, contestare la natura stessa di Israele, come si legge: “Si tratta della legittimità nella legge internazionale dello stato ebraico di Israele. Anziché concentrarsi sulle azioni di Israele nei Territori occupati, la conferenza esplorerà la legittimità, la responsabilità e l’eccezionalismo che sono posti dalla natura stessa di Israele”. Gli accademici anti israeliani ricorreranno in appello e adesso accusano la “Israel lobby” di aver usato la questione della sicurezza come scusa per mettere a tacere i critici di Gerusalemme, come il docente di Princeton Richard Falk. Per Fiona Sharpe, a capo dei Sussex Friends of Israel, non si trattava di una assise universitaria, ma di “una aggregazione di odiatori dello stato ebraico e di attivisti del boicottaggio”. Di “adunata di bigotti” parla Douglas Murray, direttore della Henry Jackson Society. E in segno di protesta con la facoltà, uno dei più noti laureati della Southampton, il pediatra Andrew Sawczenko, aveva già rispedito il suo bachelor in medicina al vicerettore Don Nutbeam. Allo stesso tempo però 900 accademici di tutto il mondo hanno scritto all’università chiedendole di andare avanti con la conferenza.
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Adesso il dibattito si dimena fra accuse di antisemitismo all’alta cultura inglese e violazioni del free speech. La stessa motivazione addotta dal giudice Alice Robinson, che ha cancellato la conferenza, espone il paradosso del dibattito su Israele e il mondo ebraico in Inghilterra: i dimostranti filo israeliani che avrebbero manifestato di fronte all’università avrebbero potuto costituire “un bersaglio per i terroristi”. Resta il fatto che, dopo la Facoltà di Studi orientali dell’Università di Londra, che in un referendum di studenti e professori ha rescisso ogni legame con i colleghi israeliani, un’altra nobile istituzione culturale del Regno Unito aveva in programma di bruciare in effigie lo stato ebraico. Per questo Shimon Samuels, direttore del Centro Wiesenthal in Europa, ha paragonato la conferenza della Southampton alla risoluzione dell’Onu del 1975 che accostò sionismo e razzismo e alla conferenza dell’Onu a Durban del 2001, in cui Israele fu accusato di apartheid.
Il boicottaggio inglese getta ponti anche nelle nostre università. Tre settimane fa, invitato a parlare all’Università di Torino, Mustafa Barghouti, che guida le campagne di boicottaggio contro Israele, ha detto, di fronte a un parterre di accademici e studenti: “Il regime israeliano non ha diritto di esistere”. Il trucco è nel chiamarlo “regime”. D’altronde non si disse anche di Ahmadinejad che non voleva proprio dire di spazzare via Israele dalla mappa geografica ma dargli giusto una spallata per buttarlo a mare?
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