Pasqua a Baghdad
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Arrivano in chiesa i capi sciiti e pure l’eroe iracheno. Prete e fedeli applaudono chi combatte
di Daniele Raineri | 06 Aprile 2015 ore 19:54 Foglio
La chiesa dell'Alleanza a Baghdad mezz'ora prima dell'inizio della messa di Pasqua (foto: Daniele Raineri)
Baghdad, dal nostro inviato. Messa di Pasqua alla chiesa dell’Alleanza, nel centro di Baghdad. Tutto è quasi come in una messa normale, ci sono due chitarre e una tastiera molto post conciliari, i bambini giocano sul sagrato, il sacrestano tiene accesa una coppa d’incenso davanti al bocchettone dell’aria condizionata per profumare più rapidamente l’aria, “come sono belle le donne” dice un fotografo americano che sta facendo un servizio sui cristiani (come dovrebbero essere le donne in Iraq? Brutte? Dovrebbero grugnire? Sparare?). La chiesa è circondata dai t-wall, i muri di cemento a forma di T rovesciata, un’invenzione degli americani che un tempo dividevano e fortificavano tutti i quartieri della capitale irachena per decine di chilometri: oggi proteggono soltanto gli obiettivi sensibili, come le basi militari e appunto le chiese. Le campane non suonano mai, anzi non c’è proprio campanile.
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Arrivano in chiesa i rappresentanti in mimetica dei gruppi paramilitari di Hashd al Shaabi, la “mobilitazione del popolo”, i volontari che vanno a fare la guerra allo Stato islamico. La mobilitazione conta quarantadue battaglioni differenti, quasi tutti sciiti e parecchio filoiraniani – tranne due che sono cristiani. Attimo di esitazione al momento della perquisizione all’ingresso della chiesa, non si può entrare con le armi, le pistole vengono date indietro agli attendenti che aspetteranno fuori. Ai capi sono riservate le prime due file centrali di panche della chiesa: la presenza è altamente simbolica, gli sciiti sono lì per dire che i cristiani d’Iraq sono sotto la loro ala protettiva, il prete durante la predica li ringrazia per quello che stanno facendo nella guerra contro gli estremisti sunniti. A messa cominciata arriva pure Abu Azrael, l’idolo dei media iracheni, un combattente dei gruppi paramilitari che è considerato il Chuck Norris della guerra sciita contro il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi (vedi foto) . Il suo motto è: “Li polverizzeremo” (anzi, a voler essere precisi è: “Ne faremo farina”, c’è un’idea di macina che schiaccia). Siccome Abu Azrael è un personaggio, entra in chiesa vestito uguale a come è quando sul fronte: cappellino a visiera nera, granate, otto caricatori per fucile d’assalto nelle giberne, una fasciatura nera su una ferita rimediata di recente a Tikrit e si mette in seconda panca.
Dopo di lui, arriva il ministro dell’Interno iracheno, lo sciita Mohammed al Ghabban: anche la sua presenza nella chiesa dell’Alleanza rafforza il messaggio, il governo di Baghdad e i gruppi paramilitari sono in maggioranza sciiti e tollerano e difendono le minoranze – al contrario di quegli altri, che le chiese le fanno saltare. E’ l’ecumenismo iracheno: se hai un fucile e combatti contro lo Stato islamico va tutto bene, i fedeli a messa cantano e ti fanno sentire apprezzato.