Israele. Guerra tra clan a Gaza, Milshtein: “Ricorda la Chicago dei gangster. Hamas è ancora dominante”

Guerra tra clan a Gaza, Milshtein: “Ricorda la Chicago dei gangster. Hamas è ancora dominante”

Andrea B. Nardi 21 Ottobre 2025 alle 12:40 ilriformista.it lettura4’

Il dottor Michael Milshtein, già colonnello dell’Idf, è direttore del Forum di Studi Palestinesi al Centro Moshe Dayan, analista all’Institute for Policy and Strategy dell’IDC, consigliere per gli Affari Palestinesi al Cogat, Capo del Dipartimento per gli Affari Palestinesi all’Intelligence Militare dell’Idf.

Cosa sta succedendo nella guerra tra i clan a Gaza?

«Nella Striscia ci sono milizie e bande di tutti i tipi. La maggior parte di loro, non tutte, ha collaborato con Israele, era supportata da Israele e durante la guerra ha creato delle specie di enclave. Per esempio, i Mujida a Khan Yunis, i Mansie a nord, gli Abu Shabab, la più importante milizia nella Striscia, a Rafah, e la famiglia Dughmush a Gaza City. La maggior parte degli scontri degli ultimi giorni è stata tra Hamas e i Dughmush, ma tutti avevano sfidato Hamas. Appena è stato stipulato l’accordo di cessate il fuoco era inevitabile lo scontro. Ogni gazawo sapeva che nel momento in cui la guerra fosse finita Hamas avrebbe chiuso i conti con tutti coloro che l’hanno sfidata. Sebbene oggi Hamas sia molto più debole di due anni fa e senza alcun dubbio abbia perso moltissimi membri, tante armi e tantissimi comandanti, è ancora l’attore principale: lo scopo di queste esecuzioni pubbliche è dimostrare la sua forza, dissuadere i gazawi dal collaborare con Israele. Hamas così dimostra che, benché gravemente danneggiato, è ancora importante e dominante. È assai difficile per molti israeliani ammetterlo, ma anche dopo due anni della più dura guerra nella storia del conflitto israelo-palestinese, Hamas non solo esiste ma rialza la testa, è l’attore di spicco. Sebbene ci siano molti clan militari che gli si contrappongono, oggi non sono paragonabili al potere di Hamas, pure molto più limitato di prima, e i clan non possono essere una reale alternativa. Non possono nemmeno essere considerati una sorta di entità, di organizzazione unita: ognuno di loro agisce in una parte diversa della Striscia, ha i suoi interessi. Al momento è ovvio che Hamas stia prendendo il controllo di tutta Gaza e stia cancellando tutti i suoi nemici, principalmente le bande che hanno collaborato con Israele».

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«Sì, esattamente, il paragone con la Chicago dei gangster è perfetto. Molti clan sono gang, senza particolari strategie politiche, ma veri e propri criminali. Abu Shabab e Dughmush hanno parecchi membri nelle prigioni palestinesi. Quando di recente c’è stata l’esecuzione della famiglia Dughmush, molta popolazione a Gaza era entusiasta poiché Hamas stava uccidendo gangster che le avevano reso la vita miserabile, saccheggiato gli aiuti umanitari e depredato. Sono delinquenti, e sfortunatamente Israele ha dovuto utilizzarli contro Hamas, la gang criminale più forte e crudele».

Questi clan sono avversi solo ad Hamas e possono essere alleati di Israele, oppure sono comunque suoi nemici?

«Alcuni sono comunque ostili a Israele e coinvolti in attacchi terroristici; i Dughmush, per esempio, sono affiliati all’Isis, quindi non è solo un conflitto tra Israele, Hamas e loro, ma una guerra di tutti contro tutti».

Qual è la capacità effettiva di Turchia, Qatar ed Egitto di neutralizzare Hamas e gli altri clan?

«Turchia e Qatar non vogliono che Hamas scompaia da Gaza. Vogliono una soluzione politica e che termini la guerra, ma non vogliono che Hamas diventi troppo debole. E vogliono che Hamas sconfigga tutti i clan/gang. Sul disarmo di Hamas, Trump chiede che rinuncino alle armi, ma pare non abbiano intenzione di farlo. Penso che il Qatar voglia che Hamas resti il gruppo più forte. È probabile che cercheranno un compromesso, con armi “difensive” consentite, tipo fucili, RPG, granate, e “offensive” vietate, razzi e droni e cose così: Hamas non ha più queste armi, ma penso che Turchia e Qatar cercheranno di non spingere Hamas contro i suoi stessi interessi. L’Egitto, a sua volta, pur molto importante come mediatore, lo è meno del Qatar, e tenterà di convincere Hamas a raggiungere un compromesso, ma alla fine non permetteranno che scompaia. A Gaza non esiste nessun clan alternativo ad Hamas, sono tutti molto più deboli, disuniti, e non sono davvero una minaccia per Hamas».

E in Cisgiordania?

«Per quasi due decenni West Bank e Gaza sono state separate, non hanno le stesse dinamiche, non hanno la stessa fede, e hanno due regimi differenti, pure se entrambe si chiamano “palestinesi”. Anche se Anp è una parte della futura soluzione a Gaza, e forse lì sarà definito come il nuovo governo, in realtà non sarà in grado di controllarla appieno; infatti in questo momento non controlla neanche la Cisgiordania. Netanyahu vuole cambiare la situazione nel West Bank per neutralizzarvi le minacce. È chiaro che non sarà possibile evitare il problema; sarà in parallelo con ciò che dovremo fare a Gaza, soluzioni diverse ma necessarie entrambe».

Quindi che futuro per Gaza?

«È molto complicato. Lascerei da parte tutte le fantasie di una nuova Singapore, la visione di Trump di una Riviera Mediterranea. Un piano realistico per Gaza è un tipo di regime locale retto da personaggi non affiliati ad Hamas, forse in parte o in forte collegamento con Anp, e che potrebbe sostituire Hamas. Ma non possiamo essere ingenui fingendo di non sapere che Hamas senza dubbio continuerà a esistere e potrebbe anche tornare potente. Spero davvero che in questa nuova situazione Israele insista per un controllo molto ampio di forze internazionali, preferibilmente americane, nel Corridoio Philadelphia, tra Gaza e Sinai: così Hamas non potrà far affluire di nuovo armi dentro la Striscia. Tutte le altre teorie, l’Anp che ricontrollerà totalmente la Striscia, hanno quasi zero possibilità di essere concretizzabili. Quindi inutile essere irrealistici: lo scenario peggiore è che ci sia un nuovo regime di Hamas. E comunque Hamas non sarà cancellato: la speranza è che sia più debole, non in grado di acquistare armi o di attaccare Israele, e in questo momento è già abbastanza. Spero che un cambiamento come questo in futuro possa portarne altri più profondi, e forse anche impedire o minimizzare il controllo di Hamas nella zona».

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