4 mila miliardi di deficit in meno in 10 anni: la sfida del Tesoro Usa per far cassa con i dazi. Investire in USA

La proiezione è per ora teorica e ipotetica e non tiene conto dei possibili impatti inflattivi sull’economia

Andrea Muratore 25.8. 2025 insideover.com llettura3’

I dazi applicati dall’amministrazione americana di Donald Trump potranno ripagare, nominalmente, gli esborsi previsti nel prossimo decennio dallo One Big Beautiful Bill Act fatto passare al Congresso dal Partito Repubblicano?

La stima del Congressional Budget Office sui dazi

Una stima del Congressional Budget Office (Cbo), centro studi indipendente che monitora i costi delle politiche americane, ha dichiarato che in via teorica le tariffe messe in campo dagli Usa a partire da gennaio potrebbero contribuire a ridurre di 3.300 miliardi di dollari i deficit federali cumulati nel decennio 2025-2035 e a far risparmiare di conseguenza circa 700 miliardi di interessi al bilancio federale americano.

La proiezione è per ora teorica e ipotetica e non tiene conto dei possibili impatti inflattivi sull’economia Usa della politica daziaria e delle altre variabili macroeconomiche, ma proietta su un orizzonte temporale di medio periodo le prospettive d’incasso del bilancio federale, che già nella prima metà del 2025 ha avuto un indubbio contributo crescente da parte della voce tariffaria, storicamente minimale nelle fonti d’entrata.

L’impatto sul bilancio Usa dei dazi

L’impatto sul bilancio si starebbe già manifestando. “Al 19 agosto, stimiamo che l’aliquota tariffaria effettiva per le merci importate negli Stati Uniti sia aumentata di circa 18 punti percentuali rispetto ai flussi commerciali del 2024”, scrivono i ricercatori del Cbo, aggiungendo che “a luglio, il Tesoro ha comunicato che i dazi doganali hanno raggiunto un totale di 136 miliardi di dollari” da inizio anno, mentre “se non vi saranno ulteriori modifiche alle aliquote tariffarie, prevediamo che i dazi doganali derivanti da nuove ed esistenti tariffe ammonteranno a circa 200 miliardi di dollari in questo anno fiscale”, mentre dal 2026 l’impatto sarà a pieno regime vista la prevedibile fine di sistemi d’esenzione di qualunque tipo.

Questi dati sono indubbiamente interessanti. Mostrano la primazia della politica sulla logica commerciale ed economicista nel disegno di Trump e confermano alcuni punti che avevamo, da tempo, posto in evidenza analizzando una campagna tariffaria che sarebbe riduttivo rubricare unicamente come dettata da introversione o protezionismo.

Dazi reciproci e strategie di Trump

Lo scrivevamo ad aprile, quando furono applicate le prime ondate di dazi “reciproci”: andava tenuta d’occhio la strategia promossa da Trump su spinta del consigliere Stephen Miran volta a condizionare innanzitutto una restrizione del gigantesco problema del debito a stelle e strisce tramite una ri-nazionalizzazione degli asset, l’imposizione di un biglietto d’ingresso al mercato americano e la riduzione del deficit orientata a render più bassi i rendimenti, dunque meno gravoso per il Tesoro Usa finanziarli.

La maxi-reindustrializzazione dell’America prospettata da Trump non è l’obiettivo diretto di The Donald con i dazi, dovrà esserne al massimo un sostanziale epifenomeno, nella concezione ideale della politica tariffaria a stelle e strisce.

Rischi e opportunità

Sostanzialmente, Trump aspetta che gli investimenti arrivino come una mela matura: le aziende del mondo dovrebbero convincersi che investendo negli Usa otterranno le migliori prospettive di mercato, gli obiettivi fiscali ideali, le prospettive di profitto maggiori e, soprattutto, una sicurezza per i prodotti certificati come made in Usa contro ogni politica di repressione daziaria, dato che Washington mira a spuntare concessioni da partner e rivali commerciali facendone il meno possibile come contropartita.

Una strategia che orienta la volontà americana di far pagare al resto del mondo la gestione del colossale debito a stelle e strisce, la cui accumulazione è l’altra faccia della medaglia del ruolo globale del dollaro che alimenta una grossa fetta degli scambi internazionale. La prospettiva è ambiziosa e con la dovuta perseveranza The Donald mira a rendere strutturale il cambio di rapporti di forza nel sistema commerciale globale. Ma ad oggi a contribuire a questo sistema sarebbero, nei fatti, gli operatori interni agli Usa, dato che l’80% dei costi dei dazi è sobbarcato da consumatori e importatori. Cambiare questa situazione squilibrata è un imperativo per la seconda fase di un’offensiva tariffaria divenuta ormai strutturale.

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