Non c'è dietrologia. Il mondo di Trump che l’UE non comprende

Trump in pochi mesi ha dato il via a una profonda trasformazione delle regole, della ritualità e delle modalità dell’agire politico.

*Stefano Bettera 29.6. 2025 alle 10:44 ilriformista.it lettura 2’

È curioso l’effetto delle autonarrazioni. Quando le ripeti più e più volte con tono perentorio finisci per crederci e prendere fischi per fiaschi. Giorni fa il Corriere sentenziava che Trump non sarebbe più il leader da studiare per capire cosa succederà nella guerra tra Israele e Iran. Sul banco degli imputati la prossemica del presidente americano e il suo “ondivagare” tra minacce militari e aperture al dialogo e il timore, espresso soprattutto in quel di Bruxelles, che dietro al tycoon si nasconda, come sempre, il vero burattinaio ossia il premier israeliano.

Una UE Vecchia

Che non ci sia proprio simpatia tra i palazzi europei e il presidente ormai lo hanno capito anche i bambini. Ma il vero problema è che l’Europa non riesce e non può a comprendere i tratti e l’agire del “fenomeno Trump”, perché rappresenta qualcosa di totalmente inedito sul proscenio della politica internazionale. L’Unione Europea oggi si rivela irrimediabilmente vecchia, impantanata in liturgie novecentesche, con i due poteri, Commissione e Parlamento, in palese attrito sull’attribuzione dei poteri. Con la presidente Von Der Leyen sfiduciata, ogni due per tre, da quei governi, Germania e Francia in testa, che ormai si riuniscono in direzione ostinata e contraria nel nuovo club ristretto dei “volenterosi” per trattare le grandi partite in gioco. Non ultima proprio la questione Iran. E l’istinto di Trump lo ha fiutato fin dal primo istante.

Un’American exit

Ma il punto è un altro. Subito dopo la sua rielezione, sulle pagine di questo giornale, scrissi che quella del presidente americano è un’Americanexit: un addio non solo alla storica sintonia tra le due sponde dell’Atlantico che condanna l’Europa alla solitudine e a una pericolosa irrilevanza politica e anche militare. Ma soprattutto la fine del manuale Cencelli della diplomazia delle vecchie cancellerie continentali. Non comprendere questo significa non capire il fenomeno trumpiano. Tutto l’agire del presidente non è semplice retorica. Di certo il suo muscolarismo può suscitare fastidio. Sicuramente il suo irrompere col Settimo Cavalleggeri su ogni scenario internazionale sconcerta e destabilizza. Ma il punto è proprio questo: Trump in pochi mesi ha dato il via a una profonda trasformazione delle regole, della ritualità e delle modalità dell’agire politico.

Non c’è dietrologia

Ogni suo atto, ogni suo gesto, compreso il cappellino MAGA calato sul viso mentre assiste all’attacco su Teheran nella Situation room, “sono” Trump. In lui non c’è dietrologia, non c’è scissione tra l’immaginario e l’azione, non c’è esitazione nel voler ridisegnare non solo l’America ma anche il mondo sulla prospettiva ideale che lo guida. Il medium è la persona, il pragmatismo non è tattica ma contenuto, le promesse roboanti si traducono, più o meno sempre, in conseguenze. Trump e i Maga non fanno prigionieri. Lo dicono e lo fanno. Non seguono le agende di altri. Vanno da soli, costi quel che costi. E chi non si allinea è fuori, senza troppe liturgie. Tanto che Musk è stato accompagnato all’uscio mentre Bannon si aggira ancora per le strade di Washington. Vincere da soli e basta: questa è la scommessa, questa è l’escatologia, questa è la visione missionaria dell’Americanexit. Può non piacere, ma pensare di riportare indietro le lancette dell’orologio ai minuetti del secolo scorso vuol dire essere fuori dalla storia. E Trump non ha tempo per le sottigliezze. Non solo perché le considera una perdita di tempo ma soprattutto perché sono aliene rispetto al suo pragmatismo. Il presidente vuole andare al sodo. Conta solo questo. E pure il Nobel… ma questa è un’altra faccenda

* Stefano Davide Bettera è scrittore, filosofo e giornalista, nonché vicepresidente dell'Unione Buddhista Europea

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