False friend Se è una guerra tra democrazie e tiranni, con chi gioca Trump?

Per il New York Times «Putin e gli ayatollah vogliono lo stesso tipo di mondo», ma è anche quello che sogna il capo della Casa Bianca,

Francesco Cundari 23 Giugno 2025linkiesta-it letura2’

scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Ci sono molte buone ragioni per essere angosciati, e sinceramente anche per farsi prendere dal panico, di fronte ai rischi di un’escalation senza controllo in Medio Oriente, alle scelte imprevedibili di un narcisista capriccioso con spiccata tendenza alla megalomania ed evidente predilezione per il fascismo attualmente a capo di una superpotenza nucleare, al montare un po’ ovunque nel mondo della marea nazionalista, imperialista e autoritaria.

 

Una marea che certo non trova argini particolarmente robusti in un’Europa sempre più confusa e smarrita, in leadership democratiche sempre più deboli, per non parlare del diritto internazionale e delle organizzazioni che dovrebbero promuovere la cooperazione globale. Tanto meno, per quanto ci riguarda più direttamente, può rassicurarci lo stato pietoso della politica e del dibattito pubblico in Italia, testimoniato anche da piccoli segnali, come il fatto che per gran parte della nostra stampa Trump abbia dichiarato ieri di avere «obliterato» gli impianti nucleari iraniani, come fossero biglietti dell’autobus.

Carlo Panella scrive su Linkiesta che Trump potrebbe avere fatto per una volta la scelta giusta, che l’Iran non è in condizione di provocare chissà quale escalation e che anzi nelle prossime settimane si potrebbero aprire delle crepe all’interno del regime. Christian Rocca è meno ottimista. «La storia recente – scrive nel suo editoriale – dimostra che le guerre, anche quelle ben congegnate militarmente, o sostenute da un pensiero strategico profondo o sulla carta considerate una passeggiata, non riescono quasi mai a raggiungere gli obiettivi».

Figurarsi una guerra scatenata da Trump semplicemente per paura di farsi rubare la scena da Benjamin Netanyahu. Eppure sul New York Times diversi commentatori non sospettabili di simpatie trumpiane elogiano la scelta del presidente. Thomas Friedman, ad esempio, rivendica il diritto di «lodare Trump senza mezzi termini per gli sforzi volti a ridurre la capacità dell’Iran di costruire bombe nucleari, come se non fosse impegnato in un pericoloso progetto autocratico in patria» e al tempo stesso di resistere con tutte le sue forze «alle mosse autocratiche di Trump in patria, come se non stesse affrontando l’autocrazia dell’Iran all’estero».

Per Friedman il sostegno a Israele nella guerra contro l’Iran ha lo stesso significato del sostegno all’Ucraina contro la Russia perché, al fondo, si tratta della stessa guerra: «Putin e gli ayatollah vogliono lo stesso tipo di mondo. Un mondo sicuro per l’autocrazia, sicuro per la teocrazia, sicuro per la loro corruzione; un mondo al riparo dal vento delle libertà personali, dello Stato di diritto, della libera stampa».

Il problema è che queste sono esattamente le caratteristiche che Trump non solo ammira, ma desidera e cerca in ogni modo di importare negli Stati Uniti.

Una passione che lo accomuna a Benjamin Netanyahu, il quale sta facendo altrettanto in Israele, e a Viktor Orbán, che in Ungheria si è inoltrato da tempo, e con successo, lungo questa strada, e infatti è per entrambi il più caro degli alleati, per non dire un modello. Friedman si domanda se Trump capisca da quale parte di questo scontro globale tra democrazia e autocrazia stia Putin. Io mi domando piuttosto se tutti noi siamo sicuri di sapere da che parte stiano Netanyahu, lo stesso Trump, Orbán e tutti i loro ammiratori della galassia populista e sovranista occidentale, a cominciare da Giorgia Meloni.

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