Dazi Day.L’Europa confusa di fronte ai dazi di Trump: erano attesi ma l’Ue non era pronta

L’Unione Europea è stata colpita da dazi universali al 20% da parte degli Stati Uniti del presidente Donald Trump e ha atteso, preoccupata

Andrea Muratore 3 Aprile 2025,insideover.com lettura4’

L’Unione Europea è stata colpita da dazi universali al 20% da parte degli Stati Uniti del presidente Donald Trump e ha atteso, preoccupata, quello che a Washington hanno definito il “Liberation Day”. Dopo gli schiaffi ricevuti dal vicepresidente americano J.D. Vance alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco circa la presunta ridotta cultura democratica dei Paesi europei, e dopo l’esclusione da parte di Trump dei Paesi europei dalle trattative di pace con la Russia sull’Ucraina, l’Europa subisce una prevedibile offensiva commerciale con cui The Donald mette in discussione quella che è da decenni la più solida, duratura, integrata e mutualmente profittevole relazione economica tra due blocchi che la storia umana abbia mai costruito.

I dazi erano attesi: e ora?

Si può discutere a lungo sul fatto che il protezionismo di Trump nasca, come dichiarato, per ragioni di sicurezza nazionale, sulla possibilità che abbia successo il tentativo del Presidente di spingere con le tariffe le imprese del mondo a investire nell’industria americana, sui risvolti macroeconomici della mossa. Di tutto questo avremo contezza solo quando capiremo come i mercati reagiranno alla mossa. Ma quel che è certo è che l’offensiva tariffaria era attesa e l’Europa, unita a parole, non ha finora saputo trovare una linea coerente.

La presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen usa toni di fuoco, anche perché sa che il vero bersaglio dei dazi, prima dell’Ue in toto, è la sua Germania, a cui gli Usa con le tariffe vogliono imporre un ridimensionamento definitivo. Il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni si è a lungo convinta – col senno di poi illusa – che si potesse negoziare qualche forma di salvacondotto per i nostri prodotti in nome della sintonia ideologica tra l’esecutivo di Roma e quello di Washington. Respinta con perdite.

Bruxelles per ora ha solamente riproposto i contro-dazi promossi da Jean-Claude Juncker nel 2018 durante la prima guerra commerciale di Trump, in risposta alle tariffe su alluminio e acciaio, e non ha ancora risposto ai dazi al 25% sulle auto esportate. Il leniniano “Che fare?” non è di casa a Bruxelles per questa fase due.

Sfide incrociate per un’autonomia dell’Europa

Come nota il Financial Times, “i leader hanno fatto pressioni per garantire che le loro industrie fossero protette dalle ritorsioni alle contromisure dell’Ue. La Francia ha cercato di eliminare le misure proposte dall’Ue contro il bourbon whiskey, mentre l’Irlanda ha chiesto che le imposte sui latticini venissero eliminate”.

Nelle partite geopolitiche ed economiche, tutto si tiene secondo Simon Evenett, professore presso l’Imd Business School, che al Ft ha dichiarato che “la dipendenza dell’Ue dalla potenza militare degli Stati Uniti per scoraggiare la Russia e la mancanza di mercati alternativi hanno limitato la capacità del blocco di reagire”.

La necessità di consolidare una difesa europea veramente autonoma si somma alla possibilità di reagire con intelligenza all’offensiva commerciale. Spesso si sente ricordare che la risposta ai dazi può esser solo politica, ma probabilmente la priorità per l’Ue dovrebbe esser riconsiderare molte mosse compiute su interessata pressione americana sia nella prima era Trump che nel periodo di Joe Biden, a cui Washington ha prestato grande attenzione perché l’Europa agisse pro domo sua.

Quando l’Europa ha fatto l’interesse americano

Un esempio tra tutti è stato l’arroccamento dell’Europa su una strategia apertamente critica alla Repubblica Popolare Cinese, interiorizzando nel Vecchio Continente i timori di sicurezza nazionale degli Usa, che le principali economie europee, a partire dalla Germania hanno pagato in termini di quote di mercato. Una strategia che pochi nell’Ue, tra cui il presidente del Governo spagnolo Pedro Sanchez, hanno avuto la forza di dichiarare esplicitamente problematica. Non parliamo poi della spinta a cercare proprio il gas americano come alternativa alle forniture interrotte dalla Russia, che ha consegnato l’alimentazione del sistema europeo alla potenza di oltre Atlantico.

L’Europa deve scalare una ripida montagna e dovrà farlo con ragionevolezza e chiarezza. Non basterà reagire ai dazi Usa con delle contromosse, ma bisognerà capire che un mondo vecchio sta tramontando mentre quello nuovo non è ancora sorto sul fronte economico-commerciale.

Concretezza nei rapporti con i partner esterni al sistema occidentale, nuove e imprevedibili partnership e rilancio di piani collaterali che possono aiutare a consolidare l’autonomia europea, come un progetto per uno strumento militare capace davvero di creare capacità comuni del Vecchio Continente, possono mandare il messaggio al resto del mondo di un disaccoppiamento europeo da Washington.

La leva monetaria come reazione?

Sul breve periodo, come agire? Un gruppo di economisti guidato dal docente della Bocconi Francesco Giavazzi ha proposto in un paper apparso sul sito del Parlamento Europeo una possibilità di azione alternativa ai dazi Usa che spinga sulla leva monetaria.

Come ha scritto su Lavoce.info Tommaso Monacelli, uno dei docenti di Via Sarfatti autori dello studio, “una posizione espansiva della politica monetaria della Bce servirebbe proprio per favorire indirettamente un relativo deprezzamento dell’euro” e applicare una reazione controintuitiva alle manovre di Trump, dato che la svalutazione della moneta unica ne valorizzerebbe la capacità esportatrice a scapito del dollaro americano, come successo ai tempi del quantitative easing di Mario Draghi.

Parliamo di un esempio di quel “pensiero laterale” che a lungo è mancato a Bruxelles e nei centri decisionali europei. Chiamati spesso a reagire ex post quando era ben chiaro che una macchina a tutta velocità ci stava venendo addosso coi fari accesi.

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