Europa Ore 7 L'Ue sulla via dell'orbánizzazione. E non solo nelle politiche migratorie

“Return hubs”, sospensione del diritto d'asilo, critiche allo Stato di diritto. L'estrema destra avanza in Europa e i leader europei iniziano a fare gli Orbán.

David Carretta 21 ott 2024

Fino a che punto si spingeranno i leader dell'Unione europea nell'Orbánizzazione delle loro politiche? Durante il Consiglio europeo di giovedì 17 ottobre, i capi di stato e di governo hanno fatto a gara per lanciare idee e proposte sempre più restrittive sulle politiche migratorie, al punto da lasciare Viktor Orbán “silenzioso” e “sorridente”, secondo uno dei partecipanti alla riunione. Giorgia Meloni ha spinto per fare del Protocollo Italia-Albania un modello. Diversi leader si sono espressi a favore della creazione di “return hubs” fuori dall'Ue dove deportare i migranti in attesa di rimpatrio. Donald Tusk ha ottenuto la possibilità di sospendere il diritto all'asilo. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha promesso nuove regole sui paesi terzi sicuri per deportare i rifugiati già arrivati nell'Ue anche nei paesi di transito. Fino a poco tempo fa “Orbán era il cattivo ragazzo. Oggi è diverso”, ci ha detto uno dei leader che ha partecipato al Consiglio europeo.

Come spieghiamo sul Foglio, nell'Ue non c'è una vera crisi migratoria. I dati di Frontex certificano un calo degli arrivi irregolari via mare e via terra di migranti. I due terzi del milione di richiedenti asilo – quelli che pesano di più sui sistemi sociali degli stati membri – sono arrivati via aerea o via terra. Il loro ingresso è stato del tutto regolare, grazie un visto o a un regime “visa free”. L'emergenza è tutta politica. La crescita dell'estrema destra nelle urne in diversi paesi viene interpretata come rigetto dei migranti. La crisi è di percezione, e più dei politici che dei cittadini (i sondaggi dicono che le migrazioni sono scivolate molto indietro nella classifica delle priorità degli elettori europei). “Se non siamo in grado di dimostrare che siamo in controllo, che non subiamo l'immigrazione, facciamo vincere tutti quelli che all'interno o all'esterno vogliono usare l'immigrazione per destabilizzare l'Ue”, ci ha spiegato la nostra fonte interna al Consiglio europeo.

  

Sono David Carretta e questo è un estratto di Europa Ore 7 di lunedì 9 settembre, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo. Per ricevere la newsletter integrale nella tua casella di posta elettronica puoi iscriverti qui. È gratuito. (vedi ilfoglio.it.)

  

L'Alto commissario dell'Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, la scorsa settimana ha provato a fermare la deriva dell'Ue verso l'orbánizzazione. In un discorso a Ginevra in occasione dell'assemblea generale dell'Unhcr, Grandi ha lanciato un appello ai membri dell'organizzazione a "non concentrarsi sui confini" per affrontare i flussi di migranti e richiedenti asilo, perché chiudere le frontiere non funziona. “Quando i rifugiati e i migranti raggiungono (i confini europei o americani), i governi sono sotto pressione politica per prendere decisioni reattive. Di riflesso, si concentrano sui controlli, sull'impedire alle persone di muoversi, sugli schemi per affidare ad altri, esternalizzare o persino sospendere l'asilo che violano i loro obblighi legali internazionali”, ha detto Grandi. Secondo l'Alto commissario per i rifugiati queste misure non sono solo illegali, ma “sono inefficaci”. Il suo appello è caduto nel vuoto.

Gran parte delle idee presentate durante il vertice della scorsa settimana è di dubbia efficacia. Un Tribunale a Roma ha mandato in crisi il Protocollo Italia-Albania, perché il sistema delle procedure di frontiera messo in piedi dal governo di Giorgia Meloni non rispetta la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Ue. La Commissione europea ha dovuto riconoscere che i “return hubs” sono illegali, sulla base dell'attuale legislazione. La sua presidente Ursula von der Leyen ha promesso di modificare le leggi dell'Ue, ma ha ammesso che dei centri in paesi terzi “non sono triviali”: le complicazioni di carattere giuridico e pratico rischiano di essere molte di più dei benefici. Il governo olandese ha annunciato di volerne aprire uno in Uganda, dove inviare i migranti della regione a cui non è stato riconosciuto l'asilo e che sono in attesa di rimpatrio. Il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, ha definito il progetto dei Paesi Bassi “una goccia nell'oceano”.

  

Fedele alla sua scelta di aiutare i governi invece di fare il guardiano dei trattati, von der Leyen finora ha sostenuto tutte le proposte per indurire le politiche migratorie. La presidente della Commissione ha dato il suo avallo al Protocollo Italia-Albania, dando un'interpretazione giuridica che è stata smentita alla prima prova in un tribunale nazionale. Oltre alle promesse sui “return hubs”, von der Leyen ha detto di essere favorevole a facilitare i rimpatri dei rifugiati siriani in Siria, un altro progetto sostenuto da Meloni insieme ad altri leader che temono una nuova ondata per la situazione in Libano. Ora la presidente della Commissione ha accettato la richiesta di Tusk di sospendere le procedure di asilo in Polonia. “Cosa si sarebbe detto se le dichiarazioni di Tusk fossero state fatte da Orbán?”, ci ha detto un funzionario: “Quale sarebbe stato il tono del dibattito al Consiglio europeo?”. Secondo il funzionario, “il mainstream si dirige sempre più nella direzione di Orbán”.

  

La deriva orbániana dell'Ue va ben oltre le politiche migratorie. Tra i leader nazionali è sempre più diffusa l'insofferenza verso lo Stato di diritto. Dopo la sentenza sui 12 migranti che erano in Albania, Meloni ha attaccato i giudici italiani accusandoli di ostacolare il governo per ragioni politiche e andare contro la volontà degli elettori. Il suo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha totalmente ribaltato il concetto di stato di diritto. “Il potere è del popolo che lo affida agli eletti, è il polo che decide. Non ci sono degli unti del signore che decidono. Questo è il cuore della democrazia, è lo stato di diritto”, ha detto Tajani in un'intervista al Giornale, dimenticando i confini fissati agli eletti dalla Costituzione italiana e dalla giurisprudenza europea. Gli argomenti sono gli stessi di Orbán.

Il Consiglio europeo del 17 ottobre di fatto ha contestato alcune sentenze della Corte di giustizia dell'Ue sul Sahara occidentale che hanno conseguenze per le relazioni con il Marocco. “Il Consiglio europeo prende atto delle recenti sentenze”, dicono le conclusioni del Vertice: “Il Consiglio europeo e il Consiglio continueranno a definire la politica estera conformemente ai trattati”. Tra i leader c'è chi sostiene che non sia competenza dei giudici valutare se un accordo internazionale sia compatibile con il diritto dell'Ue. La Corte dell'Ue “non ha la stessa legittimità di governi democraticamente eletti”, altrimenti è “il governo dei giudici”, ci ha detto la fonte del Consiglio europeo. Non è Viktor Orbán. Ma il premier ungherese, che contesta i giudici dell'Ue per le multe inflitte per le violazioni del diritto comunitario, avrebbe potuto dire esattamente la stessa cosa.

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