Immunità parziale per Trump. La Corte suprema americana ci mostra cos’è una democrazia illiberale

Quando la destra populista parla di difesa della volontà degli elettori è questo intende: un sistema in cui il capo, eletto direttamente dal popolo insieme con la sua maggioranza, non

La Linea diFrancesco Cundari, 2.7.2024 linkiesta.it lettura2’

incontri praticamente alcun limite al suo potere, scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

La Corte suprema degli Stati Uniti ha stabilito ieri che l’ex presidente Donald Trump ha diritto a una sostanziale immunità dai procedimenti giudiziari per l’accusa di aver tentato di ribaltare le elezioni del 2020. Il voto ha rispecchiato fedelmente lo squilibrio nella rappresentanza all’interno della corte, che per una serie di circostanze vede ben sei giudici su nove nominati dai repubblicani. Come ha scritto Ketanji Brown Jackson, una delle tre nominate dai democratici, le sole ad avere votato contro la decisione, secondo la stessa logica «anche un ipotetico presidente che ammettesse di aver ordinato l’assassinio dei suoi rivali o dei suoi critici, o uno che avesse platealmente istigato un fallito colpo di stato, avrebbe buone possibilità di ottenere l’immunità».

Il guaio è che si tratta di ragionamenti ipotetici solo nella forma. Perché, come è evidente a tutti, c’è stato eccome un presidente che ha platealmente istigato un fallito colpo di stato, e il suo nome è Donald Trump. E in questi anni non ha fatto nulla per nascondere l’intenzione di riprovarci, portando a termine il lavoro lasciato a metà durante il primo mandato, vale a dire la torsione della democrazia americana verso l’autocrazia illiberale. Un’operazione che i vasti poteri concessi al presidente, a cominciare dalla nomina dei giudici della Corte suprema, rendono possibile.

Sarebbe il caso che ci riflettessero bene anche tanti commentatori italiani, nelle loro articolate analisi delle riforme istituzionali proposte da Giorgia Meloni. Quando la destra populista parla di difesa della volontà degli elettori è esattamente questo intende: un sistema in cui il capo, eletto direttamente dal popolo insieme con la sua maggioranza, non incontri praticamente alcun limite al suo potere. Qualunque contrappeso, in quest’ottica, è un «gioco di palazzo», un tradimento della volontà degli elettori, ovviamente rappresentata, o per meglio dire incarnata, dall’eletto. Quello che sta accadendo negli Stati Uniti non dovrebbe dunque spaventarci soltanto – si fa per dire – per le conseguenze che la crisi della democrazia americana avrà sull’Alleanza atlantica e sugli equilibri mondiali, ma anche per il suo valore di esempio, in un paese come l’Italia, dove gli aperti ammiratori di Viktor Orbán e della sua democrazia illiberale al governo ci sono già.

Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.

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