Jihadisti che sbagliano Hamas non è solo una banda armata, definirli terroristi fa il gioco dei minimizzatori

L’immane tragedia di Gaza non può lasciare nessuno indifferente, e infatti non c’è piazza, giornale o talk show in cui qualcuno non chieda di fermare i bombardamenti.

6.11.2023 Francesco Cundari, linkista.it lettura2’

L’immane tragedia del 7 ottobre, invece, ha lasciato indifferenti quasi tutti

L’immane tragedia di Gaza non può lasciare nessuno indifferente, e infatti non c’è piazza, social network, giornale o talk show in cui qualcuno non chieda di fermare i bombardamenti israeliani e consentire almeno una tregua umanitaria. L’immane tragedia del 7 ottobre, invece, ha lasciato indifferenti quasi tutti: nel dibattito su quel che sta accadendo a Gaza questo aspetto, che poi ne sarebbe la causa scatenante, è da molti serenamente ignorato, già dimenticato, come se non fosse mai avvenuto, o peggio, considerato del tutto irrilevante.

 

Joe Biden, paragonando il 7 ottobre 2023 all’11 settembre 2001, ha invitato gli israeliani a non fare gli stessi errori degli americani, a non farsi cioè dominare dalla rabbia. Saggio consiglio, coerente con quel ruolo di moderazione e gestione politica del conflitto che gli Stati Uniti, in mezzo a tanti opposti fanatismi, stanno lodevolmente sforzandosi di svolgere.

Va anche detto che gli atroci massacri compiuti da Hamas in Israele sono forse l’11 settembre meno compianto e più rapidamente dimenticato della storia. Tante persone certo non avare di commenti sull’attualità, perlomeno sui social network, se ne sono occupate esclusivamente per puntualizzare il fatto che bambini e neonati israeliani fossero stati solo sgozzati e non decapitati, o ammazzati a colpi di mitra e dopo bruciati anziché arsi vivi, o addirittura per sostenere che la povera ragazza portata via su un pick up con le gambe spezzate da miliziani che le sputavano addosso e la esibivano come un trofeo, in realtà, fosse diretta al più vicino pronto soccorso.

 

Fior di intellettuali, giornalisti e fumettisti di sinistra trovano perfettamente ragionevole paragonare il bombardamento di Gaza da parte di Israele all’aggressione russa dell’Ucraina. La differenza, ovviamente, è che l’Ucraina non ha attaccato la Russia con tremila uomini che hanno ammazzato, torturato, stuprato e rapito donne, vecchi e bambini. Ma questa differenza, così ovvia, sono in tanti a non vederla, perché l’11 settembre israeliano, per un pezzo rilevante dell’opinione pubblica, è semplicemente invisibile. A questo è arrivato purtroppo il livello di desensibilizzazione per tutto ciò che colpisce Israele e gli israeliani, prodotto anche da una propaganda tossica, per usare un termine di moda, a cominciare dall’uso del tutto improprio del termine «genocidio», che fa il paio con tutte le accuse di «nazismo» rivolte agli israeliani, dietro le quali dovrebbe risultare evidente il sadico spirito di rivalsa rispetto alla tragedia dell’Olocausto.

Mi domando tuttavia se la diffusa tendenza alla rimozione o alla minimizzazione dei massacri del 7 ottobre non sia stata facilitata anche, paradossalmente, dall’insistenza con cui dal fronte opposto si sono voluti qualificare gli uomini di Hamas, e dunque anche i loro attacchi, come «terroristi». Facilitando così l’equiparazione di un atto di guerra effettuato per terra, per aria e per mare, con tremila uomini, con barche e parapendii a motore, con migliaia di missili, a un semplice attentato, all’opera di un qualunque gruppuscolo eversivo o di una qualsiasi banda criminale.

Temo che anche in questo modo si sia aperta la strada all’infinita serie di argomentazioni capziose e lezioncine ipocrite sul fatto che il terrorismo non si sconfigge così, che alle stragi mafiose mica abbiamo mai risposto bombardando Palermo, che con la violenza non si risolve nulla. Dove il sottinteso è che Israele, all’indomani di un attacco di quelle proporzioni, con un esercito asserragliato ai suoi confini dichiaratamente deciso a rifarlo ogni volta che gli sarà possibile, avrebbe dovuto rispondere inviando un avviso di garanzia al capo di Hamas, in attesa dell’attacco successivo

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