Onda bluIn Norvegia i Conservatori superano i Laburisti per la prima volta dal 1924
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La destra di Erna Solberg vince le elezioni amministrative, sconfiggendo la sinistra anche nei feudi storici di Lillestrøm e a Sarpsborg dove esprimeva il sindaco da un secolo.
12.9.2023 Enrico Varrecchione, linkiesta.it lettura4’
Il sorriso del borgomastro laburista di Oslo, Raymond Johansen, sui cartelloni alla fermata dell’autobus, sembra quasi trasformato in un broncio nottetempo. Dentro ai mezzi pubblici, spiccano i manifesti elettorali dei Verdi con la promessa di dimezzare i prezzi degli abbonamenti, ma perfino l’ultimo disperato tentativo dell’amministrazione, ovvero quello di abbassarli proprio a ridosso del voto, non ha sortito nessun effetto.
Come anticipato due settimane fa, si è concretizzato lo storico sorpasso dei Conservatori a danno del Partito Laburista, un evento che non si verificava dal 1924. L’ex premier Erna Solberg monta in cima al palco nel suo quartier generale di fronte al Teatro Christiania ed esordisce così: «Questa sera abbiamo interrotto una tradizione. Dopo novantanove anni, il primo partito del Paese si chiama Høyre (Destra in Norvegese, ndr)».
Poco lontano, alla Casa del Popolo di Youngstorget, il primo ministro in carica, Jonas Gahr Støre, non cerca scuse: «In un mondo in cui le fondamenta della democrazia sono minacciate, la nostra rimane solida. Abbiamo perso, mettiamoci al lavoro per i prossimi due anni».
L’antefatto scolastico
L’anteprima di quello che sarebbe successo si era vista nel voto scolastico di pochi giorni prima. Si tratta di una particolarità del Nord Europa, dove, in corrispondenza di un importante voto a livello nazionale, le organizzazioni giovanili dei partiti si ritrovano nelle scuole superiori di tutto il Paese per organizzare dibattiti, confronti e, infine, partecipare al voto che indica l’orientamento di chi si ritroverà presto a fare la stessa scelta fra gli adulti.
Alle elezioni scolastiche di quest’anno, ha vinto la Høyre con il 21,8 per cento, seguita dal Partito del Progresso con il 19,4 per cento. I Laburisti sono scesi al terzo posto per la prima volta dopo vent’anni, mentre i Verdi sono stati polverizzati. Il coordinatore giovanile dei Conservatori, Ola Svenneby, ha scatenato le critiche dell’opinione pubblica per il suo commento «La generazione Greta Thunberg è morta», dovendo poi scusarsi pubblicamente per l’uscita.
I feudi caduti
Tornando agli adulti, è vero che si trattava di un voto amministrativo, ma coinvolgeva tutti i comuni del Paese e, in ogni caso, i Laburisti erano sempre stati il primo partito, un ruolo che solo in rarissime occasioni era stato messo in discussione, per lo più da sondaggi poi smentiti dalle urne. Adesso, la debacle è realtà.
Per capire la portata dell’evento, bisogna andare a Lillestrøm (appena fuori dalla capitale) e a Sarpsborg (a Sud, verso la Svezia): sono due dei tre comuni centenari, dove il Partito Laburista esprimeva il sindaco da oltre un secolo (circostanza interrotta solamente dalla guerra e dall’occupazione nazista), dove la maggioranza è andata per la prima volta a destra. Solo la più piccola Stange dovrebbe essersi salvata dall’onda blu.
Il voto nella città
In realtà, la palla adesso passa alle complicate trattative per la formazione delle giunte, un fenomeno che hanno conosciuto anche i comuni italiani fino alla fine della Prima Repubblica, e non è escluso che possano verificarsi ribaltoni improvvisi. Ad Oslo è quasi certo che il conservatore Eirik Lae Solberg prenda il posto di Johansen, ma i Liberali hanno ottenuto un buon risultato e potrebbero costringerlo a cercare l’alleanza con i Verdi e tenere fuori i populisti del Frp.
Il primo ministro norvegese Jonas Gahr Store
Il primo ministro Jonas Gahr Store (Lise Åserud/NTB Scanpix via AP)
Nelle altre grandi città: a Bergen, l’ago della bilancia saranno le liste civiche; Stavanger tende verso il centro-destra, mentre ai Laburisti rimarranno Trondheim e Tromsø, anche se nella terza città del paese sarà decisivo l’appoggio dei post-comunisti Rødt.
L’avanzata dei populisti
La sconfitta dei Laburisti, unita al tracollo del Partito di Centro e all’arretramento dei Verdi, non ha favorito solamente la Høyre: salgono i populisti del Partito del Progresso (che la leader Sylvi Listhaug ha riportato decisamente a destra), i liberali della Venstre rinfrancati dalla giovane segretaria Guri Melby e il neonato Partito del Commercio e dell’Industria (un agglomerato di nimby e anti-politica che ricorda molto il primo M5S).
A sinistra, crescono leggermente solo i Socialisti, che intercettano il voto dei Rødt, costretti a cambiare leadership in corsa dopo che il carismatico segretario Bjørnar Moxnes era stato pizzicato a taccheggiare un paio di occhiali di lusso dal duty-free dell’aeroporto di Oslo.
Stoltenberg e le altre crisi scandinave
Cosa comporterà questa debacle storica per il centro-sinistra norvegese? Il Parlamento non si può sciogliere, nessun premier si è mai dimesso per una sconfitta alle amministrative di metà mandato e sarà probabilmente su questo che Jonas Gahr Støre cercherà di imbastire la sua difesa al prossimo direttivo nazionale, dove lo attendono con il coltello fra i denti i colonnelli del partito da una parte e i giovani dell’Auf dall’altra.
Tutti sembrano essere consapevoli che l’unico in grado di riportare i Laburisti sulla retta via è l’uomo che siede a Bruxelles al vertice della Nato, Jens Stoltenberg, ed è sicuramente più preoccupato delle sorti dell’Ucraina, che non dalla necessità di togliere le castagne dal fuoco ai compagni fra i fiordi.
La crisi dei laburisti in Norvegia non è la prima di un partito di sinistra in quel tempio del welfare che è il Nord Europa. In Danimarca e in Svezia le leader socialdemocratiche hanno dovuto attrezzarsi e cambiare strategia sfidando la destra sul suo terreno con risultati spesso apprezzabili, mentre, in Finlandia, Sanna Marin non è stata all’altezza del compito.
Una nuova instabilità
Dal voto di lunedì emerge un Paese che non è pronto a farsi carico delle conseguenze sociali della lotta al cambiamento climatico, una sfida che, se affrontata senza gli strumenti adeguati, costerà migliaia di posti di lavoro sulle coste dove si vive di estrazioni petrolifere, di gas e di pesca.
Un Paese che ha votato pensando anche al conto in banca, alle difficoltà di tre anni durante i quali ci si è trascinati con un’inflazione alle stelle e misure che hanno finito per contrastarla solo sul lungo termine. Il tasso di disoccupazione è piuttosto basso (3,4 per cento a giugno) anche in considerazione del picco post-pandemico, che però ha lasciato dietro di sé una scia di incertezze e rancori. Sono emersi tutti lunedì e fra due anni potrebbero generare ulteriore instabilità al vertice di uno degli Stati più ricchi del mondo.