La stagione è iniziata. Il dietrofront dell’Islanda sulla caccia alle balene e l’inefficacia delle nuove regole

Secondo i critici, la ministra della Pesca ha ignorato le evidenze scientifiche che confermano la brutalità e la crudeltà di questa attività
Andrea Walton 4.9.2023 linkiesta.it lettura3’

. Il numero dei cittadini islandesi contrari all’uccisione dei cetacei continua ad aumentare, ma il governo – per ora – non vuole cambiare rotta

L’Islanda è pronta per una nuova stagione di caccia alle balene, ma potrebbero essere gli ultimi fuochi …, l’unica azienda che continua a uccidere i cetacei al largo delle coste di Reykjavík, di riprendere le proprie attività purché vengano seguite le prescrizioni imposte dalle autorità veterinarie. La stagione della caccia, che coincide con il periodo estivo e termina alla fine di settembre, inizia in ritardo e dovrà seguire (nuove) regole precise.

Le balene potranno essere uccise solamente durante il giorno, in assenza di cuccioli e a venticinque metri di distanza dall’imbarcazione. …., intendono evitare che gli animali soffrano eccessivamente prima di morire.

….. Un sondaggio, riportato dalla Bbc, ha indicato che il cinquantuno per cento degli islandesi sarebbe contrario all’uccisione dei cetacei, anche se molti continuano a sostenerla in difesa delle tradizioni e della sovranità nazionale.

L’Islanda ha un legame molto forte con il mare e con la pesca, che è alla base di una parte delle tradizioni culturali del Paese e rappresenta un’importante fonte di reddito per le casse statali. Le licenze di caccia per il 2023 erano, però, già state concesse dal predecessore di Svavarsdóttir, e questa decisione non poteva essere più cambiata.

I gruppi che difendono i diritti degli animali e gli ambientalisti hanno definito «molto deludente» la decisione di far riprendere la caccia. Secondo i critici, i nuovi regolamenti introdotti sono «irrilevanti» perché non eviteranno la sofferenza delle balene prima della loro morte. Luke McMillan, membro della Whale and dolphin conservation, ha specificato che «l’addestramento (dei cacciatori, ndr) e un migliore equipaggiamento non potranno mai rendere accettabile l’uccisione dei cetacei», mentre Ruud Tombrock, direttore della sezione europea della Humane society international, ha affermato che «è inspiegabile come la ministra Svavarsdóttir abbia ignorato l’inequivocabile evidenza scientifica, che lei stessa aveva condiviso, che dimostra la brutalità e la crudeltà della caccia alla balena».

Le balene sono state oggetto di una caccia indiscriminata a livello mondiale tra Ottocento e Novecento e questa pratica crudele ha ridotto in maniera significativa la popolazione di alcune specie. Nel corso del Ventesimo secolo, secondo quanto riferito da un articolo pubblicato dalla Nbc nel 2015, sono state uccise circa tre milioni di balene. I danni causati sono stati così gravi che anche decenni dopo lo stop alle cacce, come dimostrato da una ricerca australiana del 2017, le popolazioni delle specie più colpite non erano ancora tornate ai livelli precedenti alla predazione (e impiegheranno ancora molti anni per farlo).

A livello internazionale la caccia alla balena è vietata dalla stagione 1985/1986. Questa moratoria è stata decretata dalla Commissione baleniera internazionale (Iwc), tenendo conto delle incertezze delle informazioni scientifiche disponibili sugli stock di balene a livello mondiale. L’Iwc è l’organizzazione internazionale competente per la conservazione per la gestione degli stock di balene, consta di novantotto membri ed è stata istituita dalla Convenzione del 1946 sulla regolamentazione della caccia ai cetacei.

La Norvegia non ha mai aderito alla moratoria perché ha avanzato obiezioni in materia sin dall’inizio, mentre il Giappone può evitare di applicarla perché concede permessi speciali di caccia per scopi scientifici. Si tratta, di fatto, di un escamotage, perché la carne dei cetacei uccisi finisce poi sulle tavole dei giapponesi che la consumano. L’Islanda, pur difendendo l’importanza della caccia alle balene per la propria economia, aveva invece deciso di aderire alla moratoria, salvo poi cambiare idea nel 2006.

……..

Il possibile ingresso di Reykjavík nell’Unione europea era considerato, in quegli anni, uno sviluppo possibile perché l’economia della piccola Nazione nordica era collassata sotto il peso del crollo del sistema bancario e il Paese, tradizionalmente orgoglioso della propria indipendenza, aveva dato maggiori segnali di apertura in tal senso.

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