Tutte le interpretazioni del golpe Prigozhin. Prima di addentrarci nelle due visioni è bene fornire alcuni fatti che ci forniranno da base per le nostre opposte interpretazioni

Qui cercheremo di elencare due visioni esplicative differenti e totalmente opposte, in modo da dare il più ampio panorama interpretativo possibile

24.6.2023 Emanuel Pietrobon , Paolo Mauri ilgiornale.it lett6’

it.insideover.com Il tentato golpe Prigozhin apre a diverse interpretazioni sulle sue motivazioni e altrettante sui suoi scopi. Qui cercheremo di elencare due visioni esplicative differenti e totalmente opposte, in modo da dare il più ampio panorama interpretativo possibile, sebbene si debba considerare che, essendo gli eventi ancora in corso, le due ipotesi possano venire facilmente – e subitaneamente – smentite dagli stessi.

I fatti

Prima di addentrarci nelle due visioni è bene fornire alcuni fatti che ci forniranno da base per le nostre opposte interpretazioni.

Prigozhin, leader della PMC (Private Miltary Company) Wagner, da mesi si è scagliato contro la gestione del conflitto da parte del Cremlino e dello Stato maggiore russo: più volte ha lamentato l’inefficienza dei comandi, la scarsità di munizioni fornite ai suoi miliziani e perfino la bassa qualità degli stessi.

Le massime cariche militari di Mosca, che hanno fatto ampio ricorso alla Wagner per le operazioni belliche, hanno cominciato a guardare con sospetto a Prigozhin temendo che il suo potere potesse in qualche modo portare a pesanti ingerenze non solo nella condotta della guerra, ma anche nell’organigramma delle stesse Forze Armate: il rimescolamento dei vertici della Difesa russi avvenuto di recente, ha evidenziato senza ombra di dubbio come lo Stato maggiore abbia dato un segnale forte allo “chef di Putin” ridimensionandone le aspirazioni.

Questo ha portato, poco dopo, al passaggio di alti ufficiali dell’esercito russo nelle fila della Wagner in un evento che si può definire più unico che raro: sino a quel momento, infatti, gli ufficiali arruolati nella PMC non erano mai stati personaggi di rilievo. Si è trattato di un segnale sottovalutato in Occidente ma che ha chiarito come in Russia sia il conflitto sia l’importanza data al Gruppo Wagner dal Cremlino sino a quel momento abbiano velocizzato un gioco di potere che si era innescato già dal 2014 ed è maturato coi numerosi (e molto remunerativi) interventi della PMC nel continente africano.

Il Cremlino è pertanto arrivato a dipendere letteralmente dal Gruppo Wagner per la sua politica estera “attiva” – intendendo con questo termine le operazioni militari a bassa intensità e quelle Mootw (Military Operation Other Than War) ivi comprese quelle compiute nella “zona grigia” della Hybrid Warfare – trovandosi con un piccolo esercito parallelo che è cresciuto numericamente a dismisura nel corso degli anni.

I miliziani però, dipendono strettamente dalle forze armate russe: sfruttano velivoli da trasporto militare per il dispiegamento in area di operazioni e per i rifornimenti, utilizzano mezzi dell’esercito regolare, hanno il supporto aereo delle VKS ove possibile oppure utilizzano velivoli delle Forze aerospaziali di Mosca (come in Libia).

Wagner e le Forze Armate regolari russe sono quindi diventate un’aquila bicipite.

Tutto è quello che sembra

Tornando ai fatti più eclatanti che ci permettono di fare la nostra analisi speculare, molto più di recente – la mattina del venerdì del golpe – Prigozhin è arrivato ad affermare che “in 8 anni l’Ucraina non ha bombardato il Donetsk, ma le postazioni russe. E non avrebbe attaccato la Russia coi soldati Nato. Il Donbass è stato saccheggiato. Il ministero della Difesa inganna l’opinione pubblica”.

Contenuti inauditi che vanno contro la linea politica del Cremlino, ma Prigozhin ha tenuto a sottolineare come fosse solo il ministero della Difesa a ingannare la popolazione russa, dimostrando ancora una volta come la faida di potere riguardi più i vertici militari che quelli politici: del resto Prigozhin ha alle spalle potenti alleati nella politica russa, altrimenti non avrebbe mai potuto scagliarsi così platealmente contro la condotta della guerra senza conseguenze, nonostante la necessità data dalla forza dei suoi miliziani al fronte.

Ancora più evidente da questo punto di vista è il fatto che il golpe è cominciato a Rostov sul Don, ovvero uno dei centri logistici principali per la guerra ma soprattutto la sede del comando generale delle operazioni: il personale della Wagner, da quello che abbiamo potuto osservare, è entrato in città senza sparare un colpo nonostante lo schieramento della Rosgvardia, la guardia nazionale russa dipendente direttamente dal Cremlino. Altrove, inoltre, le prime defezioni hanno riguardato proprio la Rosgvardia – sebbene sappiamo che anche unità dell’esercito regolare, anche d’élite, non abbiano combattuto – e a quanto pare il mondo militare russo, ma probabilmente composto dai quadri inferiori, è spaccato in due.

Quanto stiamo vedendo, quindi, potrebbe essere effettivamente quanto sembra: un tentativo di cambiamento dello status quo del potere militare russo da parte di Prigozhin – che ha chiesto le teste di Sergei Shoigu e Valery Gerasimov ma non ha mai parlato di Putin – per cercare di cambiare le sorti del conflitto e non nel modo in cui le cancellerie occidentali vorrebbero: l’uomo, infatti, non appare affatto una colomba, sebbene si possa pensare che uno degli scopi del tentato golpe potrebbe essere quello di sfruttare gli attacchi ucraini per avere ragione delle eventuali resistenze di reparti “lealisti” o addirittura di arrivare a una tregua con Kiev, ma chi scrive ritiene che quest’ultima ipotesi sia molto remota.

Del resto, se guardiamo a febbraio del 2022, lo stesso capo di Stato maggiore Gerasimov era apparso poco entusiasta per l’inizio del conflitto, e i comandanti delle operazioni si sono succeduti a un ritmo sospetto che non può essere solo attribuibile al fallimento delle operazioni militari (come la “offensiva” invernale), e in Russia si perdonano molte cose tranne il fallimento di un conflitto, come la campagna afghana negli anni ’80 e la prima guerra in Cecenia hanno drammaticamente dimostrato.

Ritorno al 1917

La Russia è lo stato-continente in cui gli accadimenti di ieri sono un passato che non passa. E ciò che non passa mai realmente, perché in qualche modo continua a plasmare e a tormentare la quotidianità, non può che essere un presente ricolmo di déjà vu e di déjà vecu. Un presente che ingabbia e che ha ingabbiato i russi di ogni epoca in una sorta di loop temporale.

Nulla di ciò che accade in Russia è mai una novità: tutto è un remake. I ruggenti anni Novanta furono una riedizione del Periodo dei torbidi, peraltro con lo stesso epilogo – l’emergere dell’ordine del caos. Lenin fu una reincarnazione sotto steroidi di Pugaciòf. Șamil Basaev fu una versione più radicale dello sceicco Mansur. Loop temporale. Maledizione dell’anarchia ciclica.

Anche la marcia di Prigožin, il volto dei musicisti con la passione per i colpi di stato e le guerre ibride, ricorda qualcosa di già visto. Nel 1917, all’alba della Rivoluzione d’ottobre, un militare pieno di livore nei confronti di Zar e Difesa radunò un’armata e arrivò alle porte dell’odierna San Pietroburgo con l’obiettivo di salvare la patria dalla catastrofe. Si chiamava Lavr Kornilov e il suo fallito putsch avrebbe accelerato la caduta dei Romanov e la fine della Russia imperiale.

La Russia del 2023, similmente a quella del 1917, cammina grazie alla forza di un uomo solo, che oggi è Putin e che ieri era Nicola II – figure, però, tra loro antipodiche –, ed è coinvolta attivamente in una guerra mondiale – perché la competizione tra grandi potenze non è che una guerra mondiale frammentata e non dichiarata. Prigožin, proprio come Kornilov, non si definisce un traditore della patria, ma il suo salvatore, e pensa che occorra un cambio di guardia per esorcizzare lo spettro dello scenario peggiore. Lecito è chiedersi se l’epilogo del remake sarà fedele all’originale.

Niente è come appare

Il tentato putsch dei musicisti potrebbe essere stato il colpo di testa di un patriota sulle orme del generale Kornilov, una congiura di palazzo scaturita dal risentimento di taluni ambienti della cerchia putiniana per le purghe simil-staliniane – più di trenta persone, tra 007, miliardari e siloviki, morte in circostanze sospette in un anno e mezzo di guerra –, una super-psyop per gettare fumo negli occhi degli occidentali, un complotto avente il cast in Russia ma la regia negli Stati Uniti, una prova di forza volta ad aumentare il peso negoziale della Wagner nella piramide del potere.

Nulla è come sembra. Le forze armate russe non avrebbero bloccato l’avanzata dei wagneriti su Mosca perché carenti di mezzi, o forse perché negli apparati qualcuno è colluso con Prigožin, o forse perché era una realistica messinscena le cui finalità verranno svelate dal tempo.

Forse si è trattato di un semplice regolamento di conti tra Wagner e Difesa, perso dalla seconda. O forse si è trattato di un potente monito a Putin da parte di segmenti scontenti dello stato profondo, che hanno utilizzato la marcia di Prigožin come mezzo per uno o più fini – cambio di rotta in Ucraina? Rimpasto di governo? Stop alle epurazioni?. Oppure è stata un’enorme psyop per sviare i rivali della Russia e far uscire dissidenti, quinte colonne e spie allo scoperto.

Certo è che il putsch del gruppo Wagner, uno degli episodi più enigmatici della guerra in Ucraina, verrà ricordato come uno degli eventi spartiacque dell’epoca putiniana. Perché ha svilito l’uomo più forte di Russia in mondovisione (cui prodest dall’indebolimento e dall’eventuale detronizzazione di Putin?). Perché ha sancito il prevalere di una compagnia militare privata sulle forze armate, determinando l’ascesa definitiva di Prigožin al ruolo di king maker e spianando la strada a scenari neomedievalistici dominati dai desiderata di signori della guerra, clan e attori nonstatuali. Perché, a meno di colpi di scena, questa storia ha un solo vinto: Putin.

Le presidenziali più importanti della Russia sono dietro l’angolo, giacché il 2024 è alle porte, e l’elettorato russo e i rivali di Mosca hanno appena scoperto che l’agente Platov non è né intoccabile né invincibile. Una scoperta che potrebbe non passare come acqua sotto i ponti, ma che è suscettibile di produrre effetti determinanti. E li produrrà. Perché, del resto, chi ha paura di un dio che può sanguinare? A meno che quel dio, certamente, non sia guidato da un disegno intelligente che, come la Russia, è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma.

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