Emancipazione strategica. Mentre Erdogan sabota l’ingresso della Svezia nella Nato il Nord Europa unifica l’aviazione

Il presidente turco, per il proprio tornaconto politico con le elezioni in vista, non ha ancora ritirato il veto su Stoccolma.

5.4.2023 Futura D’Aprile linkiesta.it lettura3’

Il presidente turco, per il proprio tornaconto politico con le elezioni in vista, non ha ancora ritirato il veto su Stoccolma. Che nel frattempo unisce la flotta aerea militare a quelle di Finlandia, Danimarca e Norvegia contro le minacce russe (e per essere autonoma dagli Usa)

Mentre la guerra in Ucraina continua e si attende l’avvio dell’offensiva di primavera, il Nord Europa sta muovendo i primi passi verso il rafforzamento della sua difesa, in particolare nel cielo. Nei giorni scorsi, durante la conferenza tenutasi presso la base aerea di Ramstein in Germania, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia hanno avviato la costituzione di una flotta aerea unificata per aumentare le proprie capacità di difesa rispetto alle minacce esterne.

Come scrive il giornale norvegese Aftenposten, l’obiettivo finale è quello di operare congiuntamente come un’unica forza di dimensioni paragonabili a quella di Francia e Gran Bretagna. Ma a spingere i quattro Stati nordici a rafforzare la propria difesa non è solo la percepita minaccia russa. La firma dell’accordo arriva anche in risposta all’inaffidabilità della Turchia e al riposizionamento degli Stati Uniti, primi garanti della sicurezza dell’Europa settentrionale, ma sempre più interessati al quadrante del Pacifico a discapito dei Paesi che maggiormente dipendono dalla protezione di Washington.

Come spiega bene Aftenposten, la collaborazione tra Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia prevede operazioni di monitoraggio cooperativo dello spazio aereo, addestramento, dispiegamento flessibile delle forze, comando e controllo integrati, pianificazione e messa in campo di azioni congiunte. Con numeri importanti.

La Norvegia ha a disposizione trentasette caccia F-35 di quinta generazione e ne riceverà altri quindici entro il 2025, mentre la Danimarca possiede cinquantotto F-16 e ha ordinato ventisette F-35, la cui consegna inizierà entro quest’anno. La Finlandia, entrata finalmente a far parte della Nato, può contare al momento su sessantadue caccia F/A-18C/D e ha acquistato sessantaquattro F-35, il cui arrivo è previsto nel 2026.

La Svezia, invece, ha quasi cento caccia Gripen C e D e nel prossimo futuro ha intenzione di ammodernare la propria flotta.

Insieme, queste quattro nazioni possono contrare su una potenza aerea pari a quella della Francia e della Gran Bretagna, ampliando notevolmente le proprie capacità di difesa e il peso all’interno della stessa Unione europea, oltre che nell’Alleanza atlantica.

Non sorprende quindi che alla firma del «Memorandum of understanding» siglato dai quattro Paesi nordeuropei abbia presenziato anche il capo del comando aereo della Nato, il generale James Hecker, segno dell’importanza che l’accordo riveste. La creazione di questo polo di difesa congiunto permette anche di aggirare – almeno in parte – gli ostacoli posti dalla Turchia all’allargamento della Nato.

Dopo mesi di trattative, Ankara ha dato luce verde solo all’adesione della Finlandia, continuando invece ad opporsi a quella della Svezia, accusata di non aver fatto abbastanza contro i gruppi curdi presenti nella monarchia scandinava, ritenuti dal governo turco una minaccia alla sua sicurezza. Dietro alla scelta del presidente Recep Tayyip Erdogan di mantenere in piedi il veto contro Stoccolma ci sono in realtà interessi politici personali.

Il 14 maggio si terranno le elezioni parlamentari e presidenziali e il capo di Stato in carica ha fin dall’inizio giocato la carta dell’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato per dimostrare la sua importanza all’interno dell’Alleanza atlantica e per strumentalizzare a fini elettorali la questione curda anche al di fuori dei confini nazionali. Con la firma del Memorandum, invece, la Svezia rimedia parzialmente alla mancata adesione alla Nato e rafforza le sue capacità di difesa anche in un’ottica di maggiore emancipazione dagli Stati Uniti.

Washington è da decenni il principale garante dei membri della Nato – a cui è stato più volte chiesto di aumentare le spese militari per non dover dipendere eccessivamente dall’ombrello protettivo americano – ma l’interesse verso il vecchio continente delle amministrazioni americane, almeno fino al 24 febbraio 2022, è parso in continua diminuzione.

La guerra in Ucraina ha certamente riportato l’attenzione degli Stati Uniti verso l’Europa, ma per la Casa Bianca il Pacifico resta il quadrante nel quale è necessario incrementare la propria presenza in contrapposizione alla Cina. Unire le proprie forze aeree permette a Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia di essere maggiormente indipendenti rispetto agli Usa, ma anche di contare di più in Europa.

La guerra in Ucraina sta infatti modificando gli equilibri di potere nell’Unione. Gli Stati del Nord e la Polonia stanno investendo sempre di più nella Difesa e nella realizzazione di quei progetti di autonomia strategica e di messa in comune delle rispettive forze armate normalmente portati avanti da Francia e Germania.

Parigi e Berlino hanno assunto un ruolo meno centrale nella risposta europea alla guerra in Ucraina rispetto a quello che ci si aspettava, lasciando un vuoto che il Nord e l’Est Europa sono desiderose di colmare, anche in virtù della loro vicinanza alla Russia e di rapporti meno stretti con un Paese percepito come un nemico da ben prima del conflitto. Come dimostrano bene l’aumento delle spese militari di Polonia prima e l’unione delle flotte aeree degli Stati del Nord.

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