Altre carte riservate nel garage di Biden. Le spiegazioni scarne e le differenze con Trump
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I repubblicani hanno subito cercato un parallelo con il caso dei documenti top secret ritrovati dall'Fbi nella residenza dell'ex presidente a Mar-a-Lago. Ma i casi sono diversi. Il briefing dell'addetta stampa del presidente, Karine Jean-Pierre
GIULIO SILVANO 12 GEN 2023 ilfoglio.it lettura3’
Dopo che le foto dei documenti presidenziali top-secret ritrovati dall’Fbi nella residenza di Donald Trump a Mar-a-Lago sono diventate virali, i repubblicani non vedevano l’ora di poter mostrare che anche i democratici fanno errori di questo genere. Il 2 novembre, mentre liberavano un ufficio del Penn Biden Center, centro studi fondato nel 2018, gli avvocati di Joe Biden hanno trovato dei documenti, tra cui alcuni confidenziali, di quando l’attuale presidente americano lavorava come vice di Barack Obama. Questi documenti avrebbero dovuto stare al sicuro agli Archivi nazionali, dove finiscono tutte le carte della Casa Bianca alla fine di ogni mandato. Ed è lì che sono stati portati il 3 novembre, il giorno dopo il ritrovamento. La notizia però è stata data solamente a gennaio, dopo le elezioni di metà mandato: secondo i repubblicani una scelta precisa per evitare uno scandalo durante la campagna elettorale.
Dopo la scoperta di novembre, la scorsa settimana gli avvocati del presidente hanno cercato anche nella sua residenza privata di Wilmington, nel Delaware. Si parla del ritrovamento di pochi documenti, sempre di quando Biden era vice, nel garage della casa. Anche questi sono stati subito consegnati alle autorità competenti. “Stiamo collaborando pienamente con gli Archivi nazionali e il dipartimento della Giustizia per assicurarci che qualsiasi documento dell’Amministrazione Obama-Biden sia, come è giusto, in possesso degli Archivi”, ha detto l’avvocato Richard Sauber, che da maggio lavora alla Casa Bianca occupandosi delle questioni legali del presidente.
I repubblicani hanno subito cercato un parallelo, appunto, con il caso dei documenti portati da Trump in Florida.
Ma i casi sono diversi. La prima differenza riguarda la quantità della documentazione sottratta. Con Biden si parla di una decina di carte, con Trump di centinaia. In secondo luogo, nel caso dell’attuale presidente, è stata proprio la sua squadra a trovare i documenti, ad avvertire il dipartimento della Giustizia e, infine, a farli consegnare immediatamente agli Archivi. Nel caso di Trump invece tutto è partito quando la Camera dei rappresentanti ha richiesto alcuni documenti all’ex presidente all’interno dell’investigazione della Commissione sui fatti del 6 gennaio. Rifiutata la richiesta, si è attivata una ricerca portata poi avanti dall’Fbi. Trump si era difeso dicendo che si trattava di un souvenir del suo periodo a Washington. Nel caso di Trump, inoltre, si parla anche della possibile distruzione di diverse carte importanti, comportamento che, a quanto si sa ora, non riguarderebbe invece la vicepresidenza di Biden. Alcuni hanno raccontato che uno dei metodi preferiti da Trump per disfarsi dei documenti era buttarli nel gabinetto e tirare lo sciacquone.
Biden si è presentato davanti ai giornalisti per affrontare la questione. “Cosa stava pensando, signor presidente? Documenti riservati lasciati in una scatola, nel garage, vicino alla sua Corvette?”, gli hanno chiesto. “La mia Corvette è in un garage chiuso a chiave, non è che fosse tutto lì in mezzo alla strada”, ha risposto. La sua linea di difesa resta: li abbiamo trovati noi, e li abbiamo consegnati subito, quindi non c’è stato dietro alcun intento criminale. Sembra dire: non fatela più grossa di quello che è. Il segretario alla giustizia, Merrick Garland, ha nominato Robert Hur, un ex procuratore generale durante l’Amministrazione Trump, come special counsel per esaminare la scoperta dei documenti. Il faticosamente neoeletto speaker della Camera, Kevin McCarthy, ha subito invitato il Congresso a indagare su Biden e sui documenti classificati. Già qualche giorno fa lo speaker aveva detto che il comportamento del presidente mostra che i democratici hanno forzato la mano nell’attaccare Trump, e che anche loro hanno delle colpe. “Ci sono due pesi e due misure con Trump – hanno letteralmente fatto un incursione in casa sua 91 giorni prima delle midterm – e sembrerebbe esserci uno standard diverso con il presidente Biden”, ha detto il repubblicano ipertrumpiano Jim Jordan, che a breve sarà a capo della commissione Giustizia della Camera. Le scarne (e un po’ sprezzanti) dichiarazioni di Biden di certo non aiutano né a capire come sono finiti questi documenti fuori dagli Archivi né se sono stati accessibili a estranei, e anzi forse aumentano la propensione alla strumentalizzazione dei repubblicani.