70 nazioni si ritrovano a Parigi per fare di Israele il grande imputato internazionale
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Per Gerusalemme è “un nuovo processo Dreyfus”
di Giulio Meotti 6 Gennaio 2017
Il loquace ministro della Difesa israeliano, Avigdor Lieberman, ha invitato tutti gli ebrei di Francia a lasciare il paese europeo in segno di protesta contro la prossima conferenza di Parigi del 15 gennaio, dove i rappresentanti di settanta paesi si riuniranno per un “summit della pace” che Israele ha deciso di boicottare. “Forse è il momento di dire agli ebrei di Francia, ‘questo non è il vostro paese, venite in Israele’”, ha dichiarato Lieberman, il quale ha descritto la conferenza come un nuovo “processo Dreyfus” e “un tribunale contro lo stato di Israele”: “Invece di un ebreo a essere sotto processo sarà l’intero popolo ebraico e lo stato di Israele”. Shimon Samuels, a capo delle relazioni internazionali del Centro Wiesenthal, ha paragonato la conferenza di Parigi a quella di Monaco del 1938: “La conferenza si svolgerà in assenza del personaggio principale, Israele, come quella di Monaco fu organizzata in assenza della Cecoslovacchia”.
Il ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, ha detto che la Francia è determinata a tenere la conferenza, nonostante il caos diplomatico seguito alla risoluzione con cui le Nazioni Unite hanno condannato Israele per la costruzione di insediamenti.
Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha avvertito che la comunità internazionale saprà come usare l’appuntamento di Parigi: “La conferenza è irrilevante, ma ci sono segnali che trasformeranno le decisioni prese in un’altra risoluzione del Consiglio di Sicurezza”, ha detto ieri Netanyahu.
Due giorni fa il presidente del Parlamento francese, Gérard Larcher, era a Gerusalemme per convincere gli israeliani a prendere parte alla conferenza.
La prossima risoluzione potrebbe arrivare il 17 gennaio, tre giorni prima dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. “Gli strumenti che abbiamo oggi sono la risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza, il discorso di Kerry e la conferenza di Parigi”, ha fatto sapere un galvanizzato Husam Zumlot, consigliere del presidente palestinese Abu Mazen.
A Parigi saranno offerti “incentivi” a israeliani e palestinesi per riprendere i negoziati.
Svedesi, tedeschi e norvegesi saranno i protagonisti del summit e questo non lascia sperare niente di buono: Stoccolma e Oslo, infatti, sono le due capitali europee del risentimento antisraeliano. Israele teme che, dopo il Consiglio di sicurezza dell’Onu, anche il “Quartetto per il medio oriente”, composto da Stati Uniti, Onu, Russia e Unione europea, possa adottare una mozione antisraeliana.
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Intanto il Consiglio dei diritti umani di Ginevra ha appena stanziato una cifra iniziale di 138.700 dollari per compilare una “lista nera” delle aziende che fanno affari con gli israeliani oltre le linee del 1967.
La conferenza di Parigi si basa sulla “proposta di pace saudita”, cioè l’impossibile ritiro di Israele sui confini del 1967, chiamati da Abba Eban “i confini di Auschwitz”, la stretta fascia costiera che va da Hadera a Ashdod di appena dieci chilometri e su cui ha sempre pesato la minaccia di morte. La proposta saudita prevede anche il ritorno dei profughi, cioè la rinuncia al carattere ebraico dello stato.
Il gran cerimoniere della conferenza di Parigi, il ministro degli Esteri Ayrault, non ha fatto mistero di avere una posizione antisraeliana, sostenendo che il conflitto con i palestinesi “alimenta le tensioni regionali e la propaganda dell’Isis”. “Tra il 2002 e il 2014, la colonizzazione israeliana è esplosa”, ha detto Ayrault, mentre Saeb Erekat, segretario generale dell’Olp, ha descritto la conferenza di Parigi nei seguenti termini: “Il mondo ha deciso di restituire alla Palestina il suo posto sulla mappa del mondo”. Sì, al posto di Israele. E con il plauso delle democrazie. Come a Monaco.
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