Sarà guerra a Israele
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Dai tribunali alle sanzioni, ecco cosa ha in serbo la risoluzione dell’Onu contro lo stato ebraico
di Giulio Meotti 29 Dicembre 2016 alle 06: Foglio
Roma. La risoluzione 2334 dell’Onu, che condanna come “illegali” gli insediamenti israeliani in Cisgiordania grazie all’astensione degli Stati Uniti, avrà conseguenze pesanti per lo stato ebraico. Si comincia dalla Corte dell’Aia: ogni israeliano, civile o militare, coinvolto negli insediamenti, sarà passibile di giudizio per aver violato la Convenzione di Ginevra. L’esercito israeliano, che amministra i Territori, può essere incriminato se demolisce le case dei terroristi, se espropria la terra per ragioni di “sicurezza”, se pianifica case per israeliani. La decisione ora è nelle mani del procuratore dell’Aia, Fatou Bensouda, che ha già aperto un’inchiesta sugli insediamenti israeliani, che a suo avviso costituirebbero “crimine di guerra”.
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La risoluzione dell’Onu è una vittoria spettacolare per il Bds, il movimento di boicottaggio di Israele che vanta già molti successi in Europa e che è galvanizzato dal voto al Palazzo di vetro. Aziende coinvolte nella costruzione della barriera anti terrorismo in Cisgiordania possono essere oggetto di cause in paesi europei attivi su questo fronte, come Olanda e Inghilterra.
La risoluzione prevede un report del segretario generale dell’Onu ogni tre mesi sul rispetto della stessa: Israele diventa il nuovo sorvegliato speciale. La risoluzione separa l’Israele del 1948 da quello del 1967 (compresa la Città Vecchia di Gerusalemme), aprendo la strada a sanzioni contro Israele, sul modello del Sudafrica dell’apartheid, da parte di stati particolarmente avversi a Israele, come la Svezia.
Un anno fa l’Unione europea ha approvato la marchiatura dei prodotti israeliani oltre la Linea verde e ora Israele teme una nuova ondata di misure da parte di Bruxelles.
Banche, compagnie petrolifere, centri commerciali, aziende di high tech e telefonia che operano nei Territori saranno passibili di sanzioni.
Le prossime misure sono già al vaglio della Commissione europea: le banche israeliane che offrono mutui ai proprietari di case in Cisgiordania si espongono a ripercussioni; le catene di vendita al dettaglio che detengono negozi negli insediamenti possono essere escluse dal mercato europeo; i produttori che utilizzano parti realizzate in fabbriche israeliane possono subire speciali marchiature; gli israeliani che vivono negli insediamenti possono perdere il privilegio che consente oggi ai cittadini israeliani di viaggiare in Europa senza visto; le università israeliane nei Territori si vedono private del riconoscimento di Bruxelles.
Lo European Council on Foreign Relations, le cui proposte arrivano sul tavolo dei legislatori europei, ha suggerito di mettere sotto sanzione alcune banche israeliane. Succede già: Deutsche Bank ha incluso la Hapoalim Bank israeliana in una lista di compagnie riguardo le quali gli investimenti sollevano “questioni etiche”. Lo stesso ha fatto la più grande banca danese, Danske Bank, mentre la svedese Nordea ha messo sotto scrutinio le israeliane Leumi e Mizrahi-Tefahot. Il più grande fondo pensione d’Olanda, Pggm, ha ritirato gli investimenti da cinque istituti israeliani. Su questa “lista nera” di aziende israeliane è già al lavoro l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Zeid Al Hussein. Gran bel finale di 2016.
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