E' tempo di una Guantanamo europea
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Noi e l’Isis. C’è una guerra senza frontiere, senza criteri riconoscibili. A chi la combatte va applicato un diritto speciale
Il carcere di Guantanamo Bay (foto LaPresse)
di Giuliano Ferrara 23 Dicembre 2016 alle 19:10Guantanamo Bay
Bisogna freddamente riconoscere, senza alcun fanatismo, che i tempi sono maturi per una Guantanamo europea.
Sono discorsi brutti, sporchi, poco Natalizi e poco misericordiosi. Il carcere speciale di Guantanamo Bay è uno spettro per chi considera lo stato di diritto un assoluto morale, senza se e senza ma. E’ un serio problema per chi riconosce la priorità dello stato di diritto ma (c’è un ma) si domanda se il fanatismo jihadista, l’esercito dei combattenti fuori di ogni legalità bellica e dei lupi solitari cosiddetti possa essere contrastato, in nome del binomio diritto e sicurezza, con mezzi ordinari del sistema giudiziario e repressivo in vigore. Succede in occidente, vedi lo stato d’eccezione in Francia, vedi la legislazione speciale antimafia fondata sulla delazione dei pentiti e su modalità carcerarie disumane come il 41 bis, succede che scandalosi attentati alla moralità della legge eguale per tutti siano al tempo stesso drammatiche soluzioni tecnico-politiche e giuridiche per affrontare la questione centrale della sicurezza collettiva e di una guerra asimmetrica in pieno corso da molti anni e in molte forme. Obama voleva chiudere Guantanamo. Non l’ha fatto in otto anni di presidenza, nonostante i forti poteri esecutivi della Casa Bianca.
La versione di comodo è che la colpa del fallimento umanitario è dei repubblicani.
La verità è che l’opposizione repubblicana è stata superata in molti casi, non in questo. Perché è un caso difficile, legato a una situazione critica senza precedenti. Quelli che in terra islamica, in Israele o in Europa o in America uccidono e fanno stragi in nome di una nozione purista e fanatica di Dio sono diversi da bande criminali ordinarie, con una loro moralità interna e un loro meccanismo di funzionamento riconoscibile e incorporato nella storia dell’ordine repressivo e di giustizia occidentale. Sono combattenti, non criminali comuni. E sono combattenti di un tipo molto speciale. Il vantaggio che cercano sterminando uomini, donne, vecchi e bambini non è un guadagno, è la salvezza, è il martirio. E quella che chiamiamo la “radicalizzazione” non è il carcere o la vita spericolata ed emarginata come avviene per tanti criminali comuni, è ideologia, profezia, fede. Questo non vogliamo riconoscerlo e preferiamo buttarla in psichiatria, ma vanamente e colpevolmente, sottraendo alla nostra intelligenza delle cose il quid necessario a capire. Guantanamo vuol dire che c’è una guerra senza frontiere e senza criteri riconoscibili per entrambi i fronti nemici, dunque a chi la combatte si applica un diritto speciale. E’ questa la impura e anche orrenda, ma non ipocrita, parola da usare: diritto speciale.
Il mercatino natalizio della Gedächtniskirche Kirke ha riaperto i battenti, ma un certo numero di persone è finito sotto le ruote di un camion assassino, come a Nizza. Come a Nizza ci sono stati eroi civili e impeccabili interpreti in divisa della funzione di tutela della comunità, l’ideatore dell’attentato è stato infine trovato a un posto di blocco a Milano e freddato in risposta ai suoi colpi e al suo grido Allahu Akbar. Ma tutta la sua storia, l’itinerario che ha percorso da migrante a stragista attraverso carceri, violenza, predicazione, marginalità sociale, reclutamento, dimostra che Amri doveva essere fermato da un diritto e nel quadro di una soluzione speciale di sicurezza. Tra le maglie di Guantanamo non si passa, non ci sono Duldung o accertamenti lunghi e tortuosi per deportazioni o rimpatri che non sono stati possibili. Eppure era tutto sotto gli occhi delle forze e dei servizi di sicurezza, mai così impotenti fino all’occasionale esito finale, a cose fatte.
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