Il bordello di Tangail
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Una città nella città, fatta di baracche dove circa ottocento ragazze, tra droga e povertà, si vendono al miglior offerente
DIC 11, 2016 FABIO POLESE, Il Giornale
TANGAIL – Novanta chilometri dalla capitale Dacca. Tre ore di macchina verso nord. Siamo a Kandapara, quartiere a luci rosse di Tangail. Una città nella città, fatta di baracche dove circa ottocento ragazze, tra droga e povertà, si vendono al miglior offerente. In Bangladesh la prostituzione è stata legalizzata nel 2000, ma ha origini molto più antiche. È un’eredità del dominio inglese e i bordelli sono aperti da tantissimi anni. Questo è il secondo più grande del Paese. Quelli regolari, ovvero riconosciuti dalle autorità, sono una ventina. Per la legge dovrebbero lavorarci solo ragazze dai 18 ai 55 anni. Ma nella realtà non è così. Ci si accorge immediatamente quando si varca uno dei cancelli in lamiera che ti porta all’interno. Tante sono giovanissime.
Le ragazze guardano incuriosite, alcune sorridono. Le loro storie, però, raccontano una vita in bianco e nero. Molte sono nate nel bordello. Figlie di sex workers, non sono mai uscite da quel muro che le separa dal resto del mondo. “Sono nata qui e mi prostituisco da sette anni”. Si chiama Eti, classe 1994. Ha iniziato quando aveva appena 15 anni. Lo racconta come se fosse normale. Sua madre è accanto a lei e non si scompone neanche quando la figlia ammette di far uso di droga.
Gli stupefacenti qui dentro sono la normalità. Quello più usato lo chiamano Baba. È la Yaba, un derivato delle metanfetamine, conosciuta come “la droga che fa impazzire”, perché rende aggressivi fino alla follia, mentre brucia il cervello. Generalmente viene tagliata con ciò che avanza della produzione di eroina e si presenta sotto forma di pillole. Qui la tritano e la fumano a tutte le ore. Molte fanno uso anche di Oradexon, uno steroide che viene utilizzato dagli allevatori per far gonfiare i bovini. Le giovani lo prendono per sembrare più sane ed attraenti. Una follia. Eti ha la risposta pronta anche quando gli chiediamo perché sta buttando via così la sua adolescenza: “Sono una musulmana credente e se faccio questa vita è per il volere di Allah”, dice con un singolare rovesciamento della morale religiosa.
Il bordello è costituito da una via principale da cui poi si diramano tantissimi piccoli vicoletti. Tra i negozietti che ti danno l’illusione di vivere nella normalità quotidiana, si trovano le stanze delle ragazze. Un letto matrimoniale e poco più. I bagni, le docce e gli altri servizi sono in comune. “Una stanza costa 300 taka al giorno (circa 4 euro, ndr). Lo stesso prezzo che i clienti pagano per una prestazione”, ci spiega Aklima Begum Akhi, ex sex workers, presidente del Nari Mukti Sangha (NMS), associazione che dice di aiutare le ragazze che vivono a Kandapara.
Quasi sempre i soldi guadagnati dalle prostitute vanno ai Babu, una figura che qui descrivono in tanti modi: fidanzato, protettore o amico. In realtà è un vero e proprio sfruttatore che controlla e guadagna sulla pelle delle ragazze. “Tutti i miei soldi vanno per pagare questa stanza e per un uomo che mi protegge”, racconta Anjana, 29 anni. È un po’ più grande delle media e si vende da 15 anni. “Quest’uomo mi ha comprato una casa fuori da qui, lo sto ripagando”. Una casa che la prostituta non ha mai visto e che, forse, non vedrà mai.
Sarika ha 23 anni appena compiuti. Dice di lavorare qui a Kandapara da poco tempo. Nelle sue braccia i segni indelebili dei clienti violenti. Bruciature e tagli. Non ne vuole parlare. Sembra molto triste. Poi all’improvviso le torna il sorriso. Una luce colora il suo viso. “Sono innamorata di un ragazzo. Ha promesso che tornerà a prendermi e inizieremo una vita insieme fuori da qui”, ci dice. Poco dopo, però, torna il buio e si chiude nel suo silenzio. Intanto, come ogni giorno, la sua vita è dentro quelle quattro mura. Una gabbia invisibile che, per le moderne schiave del sesso, sarà difficile da oltrepassare. L’unica porta, effimera, è quella offerta da una dose di Baba.
Foto di Gabriele Orlini