Ue, i falchi alzano il tiro contro Commissione e Bce
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Dijsselbloem attacca Juncker. Weber critica Renzi. Weidmann sfida Draghi. Il fronte del rigore prova ad aumentare il suo peso nelle istituzioni comunitarie. E a frenare la svolta pro-crescita in seno all'Europa.
FRANCESCO PACIFICO, 30.11.2016 lettera43
Wolfang Schäuble, Jeroen Dijsselbloem, Jyrki Katainen, Manfred Weber, Jens Weidmann. Il fronte del rigore europeo è sempre più trasversale e prova ad aumentare il suo peso nelle istituzioni della Ue. Dopo la Brexit e lo sbarco di Donald Trump alla Casa Bianca, da un lato il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha imposto ai Paesi ricchi (Germania, Olanda e Lussemburgo) di fare manovre espansive; dall’altro, il governatore della Bce, Mario Draghi, ha annunciato di voler ampliare gli acquisti del suo Quantitative easing anche dopo la sua scadenza naturale di marzo 2017.
VERSO L'ECOFIN DI DICEMBRE. In quest’ottica la Reuters ha fatto sapere che l’Eurotower sarebbe pronta, proprio in prospettiva di una vittoria del "No" al referendum italiano, a sostenere maggioramente i nostri Btp, nonostante per regole d’ingaggio debba guardare a bond più sicuri. Parallelamente a questi movimenti il fronte del rigore alza il tiro contro le mosse della Commissione e della Bce. In un crescendo che diventerà guerra aperta il prossimo 5 dicembre, a 24 ore dal voto italiano, quando è in programma un Ecofin dove le parti supereranno le accortezze degli ultimi mesi.
DIJSSELBLOEM SFERZA JUNCKER. Per capire i toni è utile guardare alle parole pronunciate nelle ultime ore da Dijsselbloem. L’olandese, presidente dell’Ecofin, prima ha bocciato la svolta imposta da Juncker: «C’è una certa tensione fra le raccomandazioni della Commissione per un orientamento di bilancio favorevole alla crescita e le regole del patto di stabilità, che la stessa Commissione ha la responsabilità di far rispettare», ha affermato. «È un fatto che abbiamo esperienza di quanto sia importante la credibilità del patto. I soli che possono agire sono i Paesi che hanno spazio di bilancio per poterlo fare, però non possono essere obbligati da nessuno». Quindi ha aggiunto che non saranno gli stimoli della Bce a sostenere la ripresa.
Le parole di Dijsselbloem ricordano quanto detto in precedenza dal ministro tedesco Schäuble. Il quale, a chi chiedeva che la Germania facesse spesa, ha replicato che Berlino in 11 anni ha aumentato gli investimenti del 3,7% contro lo 0,7 della media europea. La cancelliera Angela Merkel sta a guardare, ma persino un suo fedelissimo come Weber, il capogruppo dei popolari europei nell’aula di Strasburgo, alza i toni contro i Paesi che chiedono più laissez faire: «Mariano Rajoy», ha scandito davanti ai suoi colleghi, «non ha mai accusato Bruxelles per i passi necessari che ha dovuto fare in Spagna, mentre vediamo per esempio in Italia che Matteo Renzi utilizza Bruxelles come un capro espiatorio».
LA CORSA AL DOPO-SCHULZ. Nelle parole di Weber fa capolino una battaglia parallela anche se direttamente non collegata: chi controlla le istituzioni del fronte europeo? A breve Martin Schulz lascerà la sua poltrona di presidente dell'Europarlamento per candidarsi in Germania contro Merkel e i socialisti, nonostante quel posto debba andare a un popolare, chiedono che rimanga a un loro esponente. In alternativa sono pronti ad “accontentarsi” della guida del Consiglio europeo. I centristi, con il “loro” Juncker ormai beniamino del Pse, vogliono aumentare le deleghe del tedesco Günther Oettinger, un falco famoso più per le sue gaffe che per i risultati ottenuti come commissario all’Economia digitale. Senza contare, come ammette la stessa stampa di Berlino, una serie di nomine targate Germania tra i dirigenti della Commissione.
I DUE FRONTI DI WEIDMANN. Il fronte del rigore, infine, ha uno dei suoi leader più influenti nel mondo bancario. Il capo della Bundesbank, Weidmann, lavora su due versanti. Spinge Draghi ad abbassare la soglia degli interessi sui bond da comprare per inserire anche i “piatti” bund tedeschi. Ma soprattutto fa pressioni sul gruppo popolare all’Europarlamento per bloccare la garanzia unica sui depositi sotto i 100 mila euro, quello che lo stesso Draghi considera la terza gamba dell’Unione bancaria. Secondo una bozza che gira all’Europarlamento, il via libera sarebbe dato soltanto se «il 50% dei fondi rimanesse nei sistemi di garanzia nazionale dei depositi», il 25% venisse convogliato in un fondo ad hoc e solo l’ultimo quarto fosse destinato a un fondo comune europeo. Ipotesi che sarebbe nata proprio negli uffici della Bundesbank.
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