Nessuno lo ammette ma la Gran Bretagna uscirà dalla Ue col prossimo referendum

 Financial Times o dell'Economist, prevedono che, alla fine, avrà la meglio la scelta di restare in Europa.

 di Pierluigi Magnaschi Italia Oggi 13.5.2016

Mancano solo 42 giorni al referendum con il quale gli inglesi decideranno se restare nell'Unione europea oppure abbandonarla (quest'ultima soluzione, in sintesi, si dice Brexit). In linguaggio ciclistico siamo quindi agli ultimi chilometri della gara. Se ci si riferisce al linguaggio del casinò si può anche dire che i giochi sono (quasi) fatti. Eppure quasi nessuno si azzarda a fare pronostici sull'esito del voto. E quei pochi che li fanno, ispirandosi alle cronache del Financial Times o dell'Economist, prevedono che, alla fine, avrà la meglio la scelta di restare in Europa.

Non sono d'accordo con questa ipotesi anche se preciso subito che il mio convincimento sul successo del Brexit non deriva da sondaggi particolarmente sofisticati, ma solo dalla conoscenza dello spirito anglosassone e della storia di questo paese. Criteri, questi, che spesso sfuggono all'attenzione di analisti imparruccati che preferiscono consultare i computer invece che guardare in faccia la gente. I miei criteri quindi sono più nasologici che statistici. Peraltro, visti i clamorosi errori degli ultimi sondaggi elettorali in tutti i paesi del mondo, di questo limite, peraltro da me esplicitato, non sono affatto preoccupato.

Chi strologa il futuro del United Kingdom (UK) è, di solito, un intellettuale che inevitabilmente legge giornali come FT, The Times o The Guardian. Ma questi giornali non esprimono i valori e le pulsioni del ceto medio o popolare inglese, bensì quelli delle élite che sono anagraficamente anglosassoni ma che sono ormai delle entità multinazionalizzate, abituate come sono a lavorare su tutti i fusi orari e a dividere le scrivanie con colleghi di centinaia di nazionalità diverse. È, questo, un frutto misto umano e sociale, sostanzialmente sradicato. Ora, queste centinaia di migliaia di persone che lavorano nella City sono complessivamente potentissime ma, nell'urna, esprimono, individualmente, un solo voto, esattamente come quello dell'operaio che si sbronza nel pub all'angolo o che si abbevera alle pin up da cabina da camionista che troneggiano ancora (sembra impossibile) nelle pagine dei quotidiani popolari che però si vendono a milioni di copie mentre i giornali di élite ne smaltiscono spesso, in UK, solo poche decine di migliaia di copie.

Il polso dell'inglese medio quindi non lo si prende leggendo il FT ma leggendo i tutt'ora diffusissimi quotidiani popolari come Daily Star, Daily Mail, Daily Express.

Questi ultimi, certi di colpire nel segno, da anni (e, forsennatamente, in questi ultimi mesi, in una sorta di crescendo wagneriano), descrivono l'Unione europea come la fonte di tutti i mali subiti sinora dalla Gran Bretagna, ipotizzando un'alluvione di immigrati con poche pretese economiche e molte pretese sociali (che porterebbero via il posto di lavoro ai cittadini locali ed eroderebbero il welfare già scarnificato dalla crisi dell'ultimo decennio). Ovviamente è ancora più temuta l'invasione da parte dei terroristi dell'Isis.

Questi reportage dal panico non avrebbero motivo di esistere nell'UK. Sono autentiche fanfaronate che però rispondono a paure profonde e diffuse fra l'opinione pubblica inglese a livello di massa che poi è quella che conta in caso di elezioni, specie di tipo referendario, come quella che si terrà fra poco. Che la preoccupazione dell'invasione degli stranieri sia infondata lo dimostra, ad esempio, il fatto che l'UK non aderisce all'accordo di Schengen e quindi ha mantenuto i suoi confini nazionali che sono impermeabili a qualsiasi tipo di immigrazione che non sia quella specificamente accettata dal governo di Londra. Ma che una preoccupazione che non avrebbe ragione di esistere, esista, la dice lunga sulle paure subliminali, profonde e quindi incorreggibile da una propagando elettorale di senso contrario.

L'insularità, in UK, non è solo un valore fisico incontestabile (il paese infatti è indubitabilmente un'isola) ma è anche un elemento psicologico diffuso e condiviso. È sulla insularità infatti che UK ha costruito la sua storia (come il protestantesimo anglosassone o come la casa regnante che ha attraversato, inossidabilmente, tutti i rivolgimenti politici e sociali degli ultimi secoli). È sempre questa insularità che ha edificato anche il suo prestigio internazionale, connotandola, nel secolo passato, come l'anticamera atlantica degli Stati Uniti. Ed è grazie all'insularità, ad esempio, se l'UK non è stata invasa, come un coltello nel burro, dai nazisti che avevano realizzato questo exploit nei confronti della Francia. Non a caso, quando il Canale della Manica è investito da una grossa bufera e quindi non è navigabile, gli inglesi dicono che «l'Europa è isolata». E altrettanto non a caso, gli studenti europei che frequentano le università inglesi sono tutt'oggi registrati come «overseas», cioè come gente d'oltremare. Ciò vuol dire che bastano 35 chilometri del Canale della Manica per farne dei diversi. Benvenuti ma diversi.

Ovviamente, contro questi clichè gli operatori della City e l'intellighentia britannica reagiscono con sufficienza, producendo studi, elaborando previsioni, predisponendo scenari, calcolando costi e benefici della Brexit. Tutte cose molto sofisticate, intelligenti, realistiche e anche, spesso, vere. Ma la gente non legge questi malloppi. E preferisce rimanere abbarbicata alle sue abitudini, al suo vissuto, alle sue certezze e alle sue paure. La gente non vuol cambiare e sente che l'Europa (anche se assunta dagli inglesi in dosi omeopatiche rispetto a quelle che sono state somministrate ai 28 paesi dell'euro) li ha fatti cambiare, secondo loro, anche troppo.

Forse non è vero. Ma questo è il feeling. E con la paura non si riesce a ragionare. Soprattutto quando la si arma con una risposta secca: sì/no. Questo referendum infatti è stato un balocco in mano alle élite politiche inglesi che lo hanno a lungo usato come uno specchio per le allodole, nella speranza di ottenere dall'Europa il massimo dando il minimo. Ma, a un certo punto, lo specchietto, non si sa perché, è sfuggito di mano ai prestigiatori della House of Common e si è trasformato in un'arma che è finita in mano alla gente che adesso reagisce puntandola contro un capro espiatorio (l'Europa dei burocrati e dei prepotenti, nel vissuto della gente inglese) del quale finalmente si possono liberare. Basta un colpo. Anzi, che dico, un voto. Lo useranno. Per dirci bye-bye. Succeda quel che succeda.

Categoria Estero

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