Chi scherza sulle pensioni di reversibilità

Gli allarmi creati ad arte, e le riforme necessarie del “patto sociale”

di Redazione | 16 Febbraio 2016 ore 06:06 Foglio

Il governo vuole tagliare le pensioni di reversibilità? Sì, no, forse. La giornata di ieri è stata tutto un rincorrersi di voci e smentite, con il ministro Poletti che ha provato a gettare acqua sul fuoco negando qualsiasi intervento per le prestazioni in corso. Per il futuro, si vedrà. Il caso è nato dal disegno di legge delega contro la povertà, presentato dal governo a gennaio, che parla di “razionalizzazione delle prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale”. Nella relazione accompagnatoria, si cita espressamente la reversibilità. La Spi Cgil ha lanciato l’allarme, gli strali di Salvini e Grillo sono arrivati puntuali come orologi svizzeri, la sinistra pd ha mostrato inquietudine: “Meglio eliminare il riferimento alla previdenza in quel ddl, basta con le pensioni…”, dice per esempio la deputata Dem Anna Giacobbe, relatrice di un provvedimento in commissione Lavoro teso paradossalmente ad aumentare le pensioni di reversibilità più esigue.

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Al di là della confusione mediatico-politica, diremmo che si è aperta ieri una partita più importante di quanto si pensi. L’enorme impatto delle pensioni per i superstiti in Italia (più di 24 miliardi di euro all’anno, senza paragoni in altri paesi) è dovuto in fondo alla bassa partecipazione femminile al lavoro: storicamente, si sa, la donna restava a casa o lavorava meno, era parte del “patto sociale”. Ma complice l’invecchiamento della popolazione, questo rischia di essere un lusso che non potremo più permetterci, altro che trovare i soldi per il contrasto della povertà. La soluzione? Quella di sempre: aumentare l’occupazione, soprattutto femminile. Facile soltanto a dirsi, purtroppo.

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