I veri conti che fanno i mercati

“Non ci arrendiamo”. Draghi rianima le Borse, ma una “grande incompiuta” insegue Renzi e Merkel

di Marco Valerio Lo Prete | 21 Gennaio 2016 ore 20:59

Roma. “We are not surrending, we don’t give up”. Non ci arrendiamo. La frase pronunciata giovedì da Mario Draghi sembra la riedizione del “keep calm and carry on” che i britannici fecero circolare per rassicurare l’opinione pubblica di fronte all’avanzata nazista. Il motto però è opportunamente aggiornato ai tempi dei banchieri centrali trasformati in rockstar che adesso rischiano di trasformarsi nell’èra dei banchieri centrali disarmati di fronte alla ripresa e all’inflazione anestetizzate. Non solo slogan, però: giovedì l’annuncio del presidente della Banca centrale europea, secondo il quale “sarà necessario rivedere e forse riconsiderare la nostra stance di politica monetaria al prossimo incontro” (il 10 marzo, ndr), ha fatto rifiatare le Borse europee. Inclusa Piazza Affari che, dopo i tremori di questo inizio 2016, ha chiuso a più 4,2 per cento. Difficile dire quanto durerà. Anche perché giovedì perfino i più antipatizzanti tra gli osservatori sottolineavano la franchezza con cui Draghi ha aperto la conferenza stampa: da dicembre, “le dinamiche dell’inflazione nell’Eurozona continuano a essere più deboli del previsto”.

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Comunque sia, giovedì sera il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, si è detto soddisfatto: “Benissimo le cose dette Draghi. Oggi è andata meglio”. Il banchiere centrale, infatti, nel pomeriggio ha indugiato a lungo sulla situazione degli istituti di credito italiani. Rassicurando, innanzitutto. “La valutazione concorde – ha detto – è che le banche italiane hanno un livello di accantonamenti simile a quello medio dell’Eurozona e dispongono inoltre di un livello molto elevato di garanzie e collaterale”. A proposito dei non performing loans, cioè i crediti in sofferenza, ha precisato che non c’è nessun accanimento della Bce sul nostro paese: “Sono già stati definiti nel corso della valutazione complessiva condotta da Francoforte e questo vuol dire che non ci saranno nuovi accantonamenti a sorpresa o richieste di più capitale”. Tutto bene, dunque? Secondo alcuni banchieri italiani interpellati dal Foglio, bisogna guardare oltre i casi specifici di mala gestio aggravata (vedi le quattro banche regionali salvate a novembre dal governo) e del Monte dei Paschi di Siena. Il clima di incertezza sugli istituti di credito è generalizzato e dipende solo in parte dai “fondamentali” domestici. Questi ultimi, ovvio, risentono di otto anni di crisi e sono sintetizzabili in un numero: 201 miliardi di sofferenze, ai massimi da vent’anni. Un accordo con Bruxelles sulla bad bank, utile a smaltire tale fardello, dovrebbe arrivare a giorni, però non funzionerebbe più come una bacchetta magica: “Anche se arrivasse nel fine settimana, non sarebbe decisiva, andava fatta prima, ci sta lavorando Padoan”, ha tagliato corto Renzi giovedì sera. Di decisivo, per ristabilire fiducia nel settore del credito da cui è così dipendente l’Europa, ci sarebbe in realtà dell’altro. Come l’unione bancaria, quella che secondo Draghi doveva essere la più importante riforma della governance economica dell’area dai tempi dell’introduzione dell’euro.

E questo fine settimana per certo non arriverà. Peggio, aggiungono i banchieri consultati dal Foglio: quella costruzione è rimasta ferma a metà. C’è il Supervisore unico europeo (Ssm), c’è il Meccanismo unico di risoluzione per trattare le banche in estrema difficoltà, e dal 1° gennaio la direttiva sul bail-in efficace ovunque per obbligare azionisti, creditori e grandi correntisti a partecipare delle perdite di un istituto, prima che a rimetterci siano i contribuenti. Insomma c’è il volto più arcigno dell’Unione bancaria, ma non c’è la diga più rassicurante, il sistema di garanzia comune dei depositi a livello europeo. Un aspetto, quest’ultimo, ritenuto fondamentale dalla Commissione Ue e dal presidente della Bce per non ingenerare panico ingiustificato nei correntisti del continente che tutto vorrebbero tranne puntellare con i propri risparmi le banche in estreme difficoltà. Un aspetto che però ormai Berlino osteggia apertamente perché equivarrebbe – dicono – a una mutualizzazione dei rischi fra paesi diversi. Così giovedì sia il ministro delle Finanze tedesco Schäuble sia il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem hanno detto che “il bail-in è cruciale per l’unione bancaria”. Il bail-in, e non altro. Renzi, e non solo lui, avrebbe l’interesse a ricordare che l’unione bancaria è l’ennesima grande incompiuta delle riforme europee, ma finora ha preferito concentrarsi sulla flessibilità fiscale. Anche perché nemmeno Merkel, forse, è più in condizione di strappare una concessione così grande alla propria opinione pubblica.

Categoria Economia 

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