Finanza, come le banche centrali si fanno la guerra
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Dietro il crollo di Shanghai c'è il conflitto tra Fed, Bank of China, Japan, England e Bce. Che navigano a vista. E stampano moneta per drogare le loro economie.
di Francesco Pacifico | 07 Gennaio 2016 lettera43
Nei salotti della finanza gira una battuta: i banchieri centrali conoscono le mosse dei loro colleghi soltanto leggendo i giornali.
È quanto sta avvenendo dall'inizio della settimana a Francoforte (lo Bce) e Washington (Fed), da quando a Pechino le autorità locali impongono alle istituzioni finanziarie controllate dallo Stato a rastrellare titoli, mentre la Banca centrale immette nel circuito quasi 130 miliardi di yuan, svalutando la moneta in questi giorni del 5%.
È quello che è avvenuto nel turbolento inizio del 2016 a Francoforte (Banca centrale europea) e Washington (Federal reserve) quando a Pechino le autorità locali hanno prima imposto alle istituzioni finanziarie controllate dallo Stato di rastrellare titoli, mentre la Banca centrale immetteva nel circuito 130 miliardi di yen.
A DISPETTO DEI SIMPOSI. Il tutto, chiaramente, a dispetto dei grandi simposi come quello di Jackson Hole o dei super vertici internazionali dove vigilanze e big della Terra promettono di unirsi per frenare la speculazione, rimettere in sesto l’economia reale, fare le riforme o debellare l'evasione.
Perché in pratica nel crollo della Borsa di Shanghai (–7 per cento lunedì 4 gennaio, +0,3 il giorno dopo, mentre il 7 gennaio le contrattazioni sono durate soltanto 28 minuti) c’è chi vede l’ennesima battaglia della grande guerra delle banche centrali.
PER AUMENTARE L'EXPORT. La Fed, la Bank of England, la Bank of Japan, la Popular Bank of China e buon ultima la Bce si sono sfidate, stampando moneta, per drogare le rispettive economie e svalutare le loro divise, nella speranza di aumentarne il perimetro delle esportazioni.
Soltanto nei primi tre anni della crisi la Federal reserve ha fornito il sistema bancario di 7.770 miliardi di dollari, che una volta ripuliti i buchi degli istituti sono diventati prestiti per favorire l’acquisto di automobili o case.
Solo dall'agosto del 2015 la cinese Pbc ha svalutato la moneta locale per 200 miliardi.
DRAGHI RADDOPPIA IL QE. Mario Draghi invece ha raddoppiato in corso d’opera (portandole a 2.400 miliardi) le risorse per il suo Quantitative easing.
Il tutto senza un minimo di coordinamento.
Perché quando scoppiò la crisi, nel 2008, la Fed di Ben Bernake tagliava il costo del denaro e comprava titoli tossici per evitare nuovi fallimenti come quello della Lehman Brothers e per indebolire il dollaro.
Contemporaneamente la Bce di Jean-Claude Trichet rifiutava di fare una politica monetaria accondiscendente, perché abbassando i tassi avrebbe rallentato anche l’inflazione, cosa che spaventa ancora oggi i tedeschi, che invece hanno guadagnato non poco con l’euro forte.
Non a caso il suo successore, Mario Draghi, ha potuto fare una manovra espansiva soltanto quando la locomotiva tedesca ha iniziato a rallentare.
BISOGNO DI INVESTIRE. Ma di fatto i Quantitative easing non hanno aiutato neppure due grandi economie come la Cina e il Giappone.
Le autorità di Pechino, svalutando la moneta, non sono riusciti a difendere la crescita di un Paese che avrebbe bisogno di più investimenti e invece ha usato la forte liquidità per speculare in Borsa.
Tokyo, che ha iniettato nell’economia oltre mille miliardi di yen, si è ritrovato alla fine del 2014 in recessione, visto che i bassi tassi sono diventati un alibi per non riformare il costo del lavoro e la tassazione delle aziende.
UNA SOLA RICETTA. Banchieri centrali contro, incapaci di prevedere le grandi emergenze (il crollo dei prezzi del petrolio, quello delle materie prime), convinti che basti soltanto drogare i consumi interni per invertire la curva dell’economia.
E pensare che nelle uscite pubbliche non perdono occasione di mandare avvertimenti ai loro vigilati (il mondo del credito) per spingerli alla maggiore trasparenza o ai governi per ottenere riforme strutturali profonde, per rendere i mercati più liberi e i costi del lavoro più bassi.
Intanto il debito di famiglie e imprese è pari al 300% del Pil mondiale. Si accettano scommesse sulle prossime bolle finanziare destinate a scoppiare.
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