Banchieri all’angolo
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Anche nel 2016 imploreremo i sacerdoti della moneta. Ma a Draghi restano poche cartucce
di Ugo Bertone | 01 Gennaio 2016 ore 17:06 Foglio
Milano. “La Bce rischia di andare a sbattere contro un muro”. Hans Magnus, autorevole senior economist di Ubs, non usa mezzi termini. “Un’ulteriore spinta espansiva – dice al Financial Times – può eccitare i mercati finanziari, ma ho i miei forti dubbi che le scelte a disposizione della Banca centrale possano avere una qualche influenza sulla crescita o sulla domanda in assenza di un supporto delle autorità fiscali o di bilancio dell’Eurozona”. E’ un’opinione diffusa, a giudicare dall’esito del sondaggio condotto dal quotidiano britannico su un campione di 33 economisti: più o meno la metà è convinta che la Bce abbia già giocato le sue carte migliori, nonostante le assicurazioni di Mario Draghi che, se necessario, l’Istituto potrà aumentare i suoi acquisti di titoli o intraprendere altre azioni espansive. Intanto, Lawrence Summers, paladino della tesi della “stagnazione secolare” va all’attacco di Janet Yellen con un articolo sul Washington Post dal titolo: “Gli errori della Fed giustificano il pessimismo”.
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“La stagnazione secolare – scrive – è possibile, ma non inevitabile, purché fronteggiata da un’azione politica forte e consapevole. Purtroppo, sia la Fed che altri centri decisionali sono così condizionati dai paradigmi tradizionali che la caduta nella stagnazione rischia di essere lo sbocco più probabile della crisi”. Insomma, sulla riva europea dell’Atlantico, superMario sembra aver perso parte dell’appeal che l’ha sostenuto un anno fa, quando di slancio seppe superare le resistenze dei falchi della Bundesbank. Più per responsabilità del mondo politico, che non ha fornito il necessario supporto riformatore, che per i limiti dell’azione di Draghi, comunque assai prudente (per necessità più che per scelta) in materia. Non a caso, la Bundesbank ha saputo sfruttare la debolezza di Draghi per ridimensionare il Qe2. E le prospettive prossime venture non sono buone: Angela Merkel, già concentrata sul voto del 2017, difficilmente potrà dare una mano a Draghi sul completamento dell’Unione bancaria. Ma a marzo dell’anno prossimo scade anche il Qe: la Bundesbank accetterà nuovi acquisti? Oppure, nel caso che la frenata della congiuntura metta di nuovo a rischio il debito italiano, Wolfagang Schäuble imporrà all’Italia il ricorso al Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, e la discesa della Troika a Palazzo Chigi? Il rischio senz’altro c’è.
Così come i repubblicani, da Donald Trump a Cruz Smith, nutrono istinti bellicosi, se non omicidi verso la Fed. Ma la Banca centrale deve fronteggiare le critiche delle colombe: che senso ha programmare una serie di rialzi, pur modesti, dei tassi mentre il petrolio, afflitto da crisi della domanda, scivola verso i 30 dollari, mettendo tra l’altro a rischio una bella fetta della finanza e dell’economia americana? Summers non ha dubbi: all’origine di scelte di politica monetaria troppo timide o, nel caso dell’aumento dei tassi americani, profondamente sbagliate, c’è la paura di sfidare i modelli canonici, quasi fossero dogmi. “In genere, per abbattere il recinto dell’ortodossia ci vuole un disastro. Speriamo che stavolta la Fed si ravveda prima”. Sia Draghi sia Yellen possono opporre buoni argomenti i critici: i 146 miliardi di acquisti di titoli che la Bce si propone di acquistare nel 2016 rappresentano ancora la miglior garanzia contro la recessione.
E chi può dubitare che non sia stata l’azione della Bce a spingere l’anno scorso il pil dell’Eurozona sù dell’1,5 per cento? Chi altri ha spezzato la catena della recessione italiana? Il tutto dopo uno sforzo gigantesco che ha portato il bilancio della banca di Francoforte a 2.800 miliardi di euro, prima di salire tra i 3 e i 4 mila miliardi entro il prossimo dicembre, sulla base degli acquisti già programmati. Ma si potrà andare oltre? “Ne dubito molto – replica Jean Michel Six di Standard & Poor’s – la Banca centrale ha già prodotto il suo sforzo a dicembre, anche se i mercati non l’hanno capito”. E la svolta della Fed, incalza Summers, rischia di compromettere quanto già fatto nella presunzione che si possa raggiungere presto il target “normale” di inflazione, cioè il 2 per cento. Obiettivo insensato, ruggisce Summers, perché “la caduta del tasso di risparmio rende assai meno malsana di quel che non si creda la scelta dei tassi zero”. Forse è presto per “varcare il Rubicone”, ovvero adottare politiche più aggressive per sconfiggere il demone della defalzione. Ma il rischio è che, se si resta su questa sponda, prima o poi i sacerdoti dell’austerità riprenderanno vigore a Francoforte.
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