Chi vuole ammazzare il Jobs Act
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Il partito che si oppone alla riforma del lavoro ha approfittato di una legge apparentemente innocua di “conversione di direttive comunitarie” per svuotare il Jobs Act. Storia e obiettivi di un ambizioso fronte conservatore del Parlamento
di Franco Debenedetti | 03 Dicembre 2015 ore 17:13
Al direttore - Se a un’azienda che aveva in appalto un servizio pubblico (nei settori dell’acqua, energia, trasporti, servizi postali) oppure un servizio di call center, ne subentra un’altra, questa dovrà: assumere tutti i lavoratori della precedente gestione; mantenere nel tempo i livelli occupazionali (qualunque cosa ciò voglia dire); applicare i contratti della precedente gestione, se più favorevoli ai dipendenti.
È quello che vorrebbero imporre degli emendamenti introdotti nella legge delega per il recepimento di alcune direttive comunitarie appunto sugli appalti pubblici. La legge ora è ritornata al Senato per la terza lettura, e ne discute la Commissione lavori pubblici in questi giorni.
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Vien da chiedersi: se queste son le regole, perché cambiare appaltatore? Se chi subentra non può fare lo stesso lavoro con persone diverse, oppure usare una parte delle stesse persone modificando l'organizzazione del lavoro, che cosa può fare di meglio del precedente? Gli emendamenti introducono sostanzialmente un monopolio legale del servizio a vantaggio dei dipendenti: difficile in questo modo promuovere la concorrenza, soprattutto in settori labor intensive come sono di solito quelli in questione, per non parlare dei call center.
Il monopolio, la certezza dell’inamovibilità, la sicurezza di poter contare su un tempo lungo è sempre contro l’efficienza. Ci sono casi in cui può fare ben di peggio, indurre a essere anche contro la legalità: è certamente un caso limite quello di qualche anno fa negli aeroporti di Linate e Malpensa, dove all’handling dei bagagli si era formata una vera e propria organizzazione che rubava valige, rivendeva il rubato e redistribuiva l’utile. Quello che non è un caso unico è che non furono le proteste dei malcapitati a metterci fine, ma la procedura di infrazione europea che ci imponeva di separare l’handling e metterlo a gara.
Che questi emendamenti siano contro i principi europei della libera circolazione dei capitali – quindi contro la concorrenza – e delle persone – quindi anche contro norme che privilegino i lavoratori di una certa area -; che quindi adottandoli stiamo predisponendo motivi per una sanzione della Commissione (come se non ci bastassero quelle sulle banche, sull’ILVA, sugli sforamenti del deficit) è evidente.
Aldilà degli aspetti tecnici, interessano quelli culturali e politici. Culturali, perché dovrebbe essere entrato nella cultura giuridica e sociale del Paese che difendere a tutti i costi la continuità del rapporto di lavoro è un modo sbagliato di proteggere la sicurezza dei lavoratori, che invece finisce col recare danno agli utenti e agli stessi lavoratori. Lo stanno capendo persino i giudici del lavoro, se è vero che dopo il Jobs Act molti di essi stanno inopinatamente incominciando ad applicare la legge Fornero in modo fedele all'intendimento del legislatore del 2012, fino a ieri quasi del tutto ignorato.
Ma interessa soprattutto aspetti politici. La riforma del mercato del lavoro, il Jobs Act, è, insieme a quella di avere eliminato l’antiberlusconismo come categoria della politica, la più importante riforma compiuta dal governo Renzi. Perché le riforme costituzionali devono essere confermate dal referendum, e per quella elettorale si sente parlare di modifiche possibili. Il Jobs Act Renzi l’ha portato in giro, c ha costruito la sua credibilità, l’ha buttato sul tavolo per avere maggiore flessibilità sul deficit. Che parlamentari del Pd, surrettiziamente, approfittando di una legge di conversione di direttive comunitarie, vogliano piantare nel nostro ordinamento norme che svuotino dall’interno quello che, comunque lo vogliano giudicare, è diventato quasi il simbolo del Governo che sostengono, non è una scivolata, un incidente di percorso: è un fatto politico grave, che il Senato adesso dovrebbe bocciare.
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