La lagna della retorica egualitaria
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Perché l’internazionale di Piketty non si può affrontare solo con la politica
di Redazione | 08 Ottobre 2015 ore 06:18 Foglio
L’internazionale egualitaria, che si rifà alle teorie di Thomas Piketty, dopo aver conquistato la maggioranza di un labour party ancora scosso dalla netta vittoria di David Cameron, ha perso, nei comportamenti concreti ma non nella retorica, Syriza, che alla fine ha buttato a mare le fanfaluche di Yanis Varoufakis (che sono costate assai care ai greci). Le sorti dell’internazionale ora si giocano nella penisola iberica, dove in Portogallo ha raggiunto il terzo posto superando i rocciosi emuli del comunismo lusitano ma è rimasta col suo dieci per cento molto lontana dai partiti del bipolarismo tradizionale. In Spagna si vedrà. Podemos ha subito una sconfitta netta in Catalogna e secondo i sondaggi può aspirare solo al terzo posto più o meno come in Portogallo. Questo non significa che l’ideologia di Piketty sia destinata a refluire nel dimenticatoio in tempi rapidi.
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Il nucleo della sua analisi si basa sull’invarianza della distribuzione del reddito e del patrimonio in occidente dal XVIII secolo a oggi. Si tratta di un dato desunto da calcoli assai discutibili, ma ha il pregio di dare una specie di base “scientifica” alle rivendicazioni egualitarie. Un secolo e mezzo Karl Marx aveva “scoperto” un’altra invarianza considerata scientifica, la caduta tendenziale del saggio di profitto. Sembrava allora una sottigliezza da economista, ma si è visto poi quanto abbia pesato nella vicenda storica concreta. L’ideologia di Piketty è suggestiva, è confezionata con abilità, si presenta come analisi oggettiva di dati statistici e sociologici e fornisce quindi una base sulla quale si ramificano movimenti politici di un certo rilievo. Combatterli solo dal punto di vista politico, trascurando il versante della battaglia culturale, può dimostrarsi un errore di cui poi ci si dovrà pentire.
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