Il capo di Telecom ci spiega in che senso la produttività per l’Italia è ancora un tabù
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Da Netflix a Bolloré. E poi i sindacati, la web tax, i consumi e la banda larga. Chiacchierata con Marco Patuano
di Claudio Cerasa | 03 Ottobre 2015 ore 06:18
Roma. “Avete presente l’Estonia? Ecco”. Netflix e la Cgil. Il governo e la banda larga. La riforma del lavoro e il destino della rete. La televisione, gli smartphone, le nuvolette e quei numeri che ci possono aiutare a capire meglio non solo gli intrecci legati al futuro del settore delle Telecomunicazioni ma anche, in un certo senso, il futuro del paese. Siamo a Roma, è mercoledì trenta settembre, siamo al sesto piano di Corso Italia 41, e il numero uno di Telecom, l’amministratore delegato Marco Patuano, accetta di chiacchierare con il Foglio per mettere insieme alcuni ragionamenti utili a capire cosa funziona e cosa non funziona in Italia quando si parla di telecomunicazioni, di tecnologia e di innovazione del mercato del lavoro.
Dice Patuano: “Siamo entrati in una fase importante in cui chi guida il paese sembra avere l’agenda giusta delle cose da fare. E dai dati che abbiamo a disposizione, relativi al nostro settore, ci sono almeno tre ragioni che ci portano a dire che il futuro dell’Italia è in crescita e che qualcosa si è mosso davvero. Lo dico osservando la crescita della vendita non solo degli smartphone tradizionali ma anche di quelli di lusso. Lo dico, ancora, osservando la crescita dei dati che passano sulla nostra rete. E lo dico, infine, osservando come le aziende italiane hanno cominciato a investire in modo sempre più convinto nel mondo delle cloud computing, ovvero le nuvole informatiche, che negli ultimi dodici mesi, in Italia, hanno avuto una crescita del 35 per cento”.
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Il nostro incontro con Patuano arriva in un momento significativo a cavallo tra due fatti importanti: l’annuncio ufficiale dell’arrivo di Netflix in Italia (22 ottobre) e la notizia dell’imminente crescita all’interno di Telecom del gruppo francese Vivendi guidato da Vincent Bolloré (che dal 15,5 per cento dovrebbe passare al 19 per cento). Netflix in Italia ha un accordo con Telecom per la distribuzione dei contenuti e la domanda per Patuano non può che essere quella: due anni dopo essere usciti dal mondo della televisione, con la cessione di La7, Telecom prova a rientrare nel mercato televisivo attraverso un altro canale? Patuano sorride, nega ma accetta la provocazione: “Noi in televisione di nuovo? Non la metterei così. Oggi non abbiamo una televisione ma offriamo contenuti anche televisivi sulla nostra piattaforma, che è una cosa diversa, e siamo pronti a ospitare chiunque consideri possibile stringere accordi con noi: non solo Mediaset ma anche la Rai, se lo vorrà. Il mondo delle telecomunicazioni è passato dalla necessità di servire il bisogno di comunicare alla necessità di servire il bisogno di connettersi. E i contenuti televisivi sono una parte importante ma non decisiva dei servizi che possono essere offerti – tanto per capirci ,sulle piattaforme online di musica digitale noi rappresentiamo il 40 dei contenuti scelti. In molti altri paesi i colossi delle Tlc hanno fatto scelte diverse e hanno deciso di legarsi a un’unica piattaforma. Ma in Italia solo il 25 per cento della popolazione usa la pay tv e non possiamo permetterci di dire ai nostri clienti: guardate solo questo e basta; devono essere liberi di scegliere. E la nostra collaborazione con Vivendi nasce anche per questa ragione qui”.
Sul futuro, dice Patuano, non crede siano maturi i tempi per una fusione con Mediaset – “Non la vedo, Mediaset è un partner interessante e la nostra missione è di avere una piattaforma aperta a tutti. Ma sul tema dei temi che tocca da vicino il mondo delle Tlc, ovvero la banda larga, l’amministratore delegato di Telecom sostiene che la diffusione di fibra nel nostro paese non è affatto insufficiente: “Ci sono stati progetti diversi, alcuni dei quali ancora non decollano, ma la diffusione della banda larga è buona e credo che anche qui ci siano un paio di numeri da mettere insieme per capire di cosa stiamo parlando”.
“Oggi – continua Patuano – la fibra arriva nel 40 per cento delle abitazioni italiane e se pensiamo che il processo di modernizzazione è partito appena 18 mesi fa si può essere soddisfatti. E se fosse vero, poi, che il governo sta lavorando, come ci risulta, a un sistema di incentivi alla domanda per l’attivazione di coloro i quali decidessero di adottare infrastruttura banda larga a elevata prestazione, sarebbe un passo ulteriore nella giusta direzione. Vi do una cifra per inquadrare meglio il fenomeno: nell’ultimo anno la quantità di dati sulla rete italiana fissa è aumentato quasi del 40 per cento rispetto all’anno passato. E anche questo, se volete, è un ottimo segnale. Anche se io resto dell’idea che se non partiamo dall’Estonia non arriviamo da nessuna parte”.
L’Estonia? Seguiamo il filo.
“Possiamo portare – dice ancora Patuano – la banda larga anche a livelli stratosferici e clamorosi ma per trasformare davvero la mentalità del nostro paese occorre che a cambiarla, la mentalità, siano non tanto i privati ma quanto, soprattutto, la Pubblica amministrazione. Si dice spesso, lo dicono i politici, che l’Italia ha un deficit grave nel mondo della tecnologia. Non sono d’accordo ma se davvero è questa la convinzione c’è un modo immediato per trasmettere ai cittadini la volontà di cambiare tutto. Una scelta secca e rivoluzionaria come quella fatta tempo fa dell’Estonia: la Pubblica amministrazione non rilascia più documenti di identità cartacei ma li rilascia solo digitali. Punto. Il che significa non solo un risparmio della spesa drastico, a proposito di chi davvero vuole migliorare la produttività della spesa pubblica in Italia, ma significa anche che tu sei cittadino solo se sei digitale. E non devo essere certo io a spiegare cosa significherebbe, anche simbolicamente, per la nostra cultura e la nostra società entrare in un’epoca di questo genere”.
Produttività, si diceva. A inizio settembre Telecom ha firmato un accordo sulla mobilità volontaria con i sindacati e il ministero dello Sviluppo e per la prima volta nella storia dell’azienda un accordo industriale è stato firmato da tutti i sindacati tranne la Cgil. Il punto è sempre quello: la produttività.
“E’ stata – dice Patuano – una fiera degli equivoci in cui però la Cgil ha commesso un errore che non si può sottovalutare. In un’azienda come la nostra in cui esistono 2 miliardi e 700 milioni di uscite legate al costo del lavoro, per poter difendere nel lungo termine questa voce senza ridurre il numero dei lavoratori in modo drastico occorre prima o poi ragionare e intervenire sulla produttività. C’è chi capisce questo principio e chi purtroppo finge che sia un problema inesistente”.
Il discorso dell’ad di Telecom scivola su un altro versante legato alla produttività ma soprattutto all’evoluzione del mercato del lavoro. Patuano dà un giudizio “molto positivo” del Jobs Act ma dice che per cambiare davvero il tessuto produttivo e lavorativo del paese occorre in tutti i modi avere degli aiuti per valorizzare e assumere nuove generazioni – e crede che per farlo il governo Renzi dovrebbe far suo un progetto preciso che si chiama solidarietà espansiva.
“L’idea è semplice. Occorrerebbe dare alle aziende la possibilità di utilizzare una solidarietà generazionale con cui fare uno scambio alla pari: assumere giovani dando l’opportunità all’azienda di ridurre, ad esempio, dell’otto per cento l’orario di lavoro di alcuni lavoratori e il loro stipendio. I costi dell’operazione andrebbero divisi in tre: un terzo l’azienda, un terzo lo stato, un terzo il lavoratore in solidarietà, che accetterebbe di vedersi ridotta una parte minima del proprio salario in nome di una solidarietà con una nuova generazione”.
Il ragionamento di Patuano si sposta poi dal fronte del mercato del lavoro e arriva a toccare altri temi che riguardano lo sviluppo tecnologico dell’Italia. L’amministratore delegato di Telecom ricorda che per capire l’Italia, e i suoi trend, bisogna ricordare che gli smartphone ad alta tecnologia sono ormai presenti nelle tasche degli italiani in modo piuttosto diffuso (due persone su tre). Sostiene poi che, guardando al futuro, i mesi che verranno dovranno essere necessariamente quelli in cui dovrà essere segnata una pace strategica con i regolatori. E, a proposito dei consumi, dice che i numeri registrati questa estate tra traffico dati e vendita di pacchetti telefonici hanno certificato un ritorno alla fiducia dei clienti e dei consumatori. Patuano, infine, conclude la nostra conversazione arrivando a sfiorare un provvedimento secondo molti controverso che il governo ha calendarizzato per i prossimi mesi: la digital tax a partire dal 2017 nel caso in cui l’Europa non dovesse partorire prima una legge comunitaria.
“Sono contrario – dice Patuano – a una caccia alle streghe rivolta agli over the top ma se web tax vuol dire che chi fa profitti in Italia deve pagare le tasse in Italia mi sembra sacrosanto a prescindere da chi saranno i destinatari di queste legge, quando sarà e se ci sarà”.
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