Altro che “eurotassa”. C’è l’unione fiscale europea nelle parole di Schäuble
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A leggerla come qualcuno ha voluto fare in Italia, a destra come a sinistra, sembra quasi che i burocrati di Bruxelles stiano provando a introdurre una nuova tassa sui cittadini europei
di Piercamillo Falasca | 02 Agosto 2015 ore 06:15
A leggerla come qualcuno ha voluto fare in Italia, a destra come a sinistra, sembra quasi che i burocrati di Bruxelles stiano provando a introdurre una nuova tassa sui cittadini europei, che il perfido ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble abbia dato il suo placet e che al cattivo Mario Monti sia stato assegnato il compito di elaborare tecnicamente il prelievo. Una tremenda banalizzazione di un momento invece cruciale, quello in cui la Germania, con tutti i caveat e le prudenze del caso, sembra ormai offrire la propria disponibilità a una discussione concreta sulla questione delle questioni per il futuro dell'euro: il trasferimento di “risorse finanziarie sostanziali” dal gettito nazionale ad un bilancio proprio dell’Eurozona. In sintesi, l’inizio di una trattativa per la creazione di una politica fiscale comune, richiamata pochi giorni or sono anche da Pier Carlo Padoan al Foglio e poi al Financial Times. Il braccio mancante dell’unione monetaria, un salto in avanti per la stabilizzazione di medio-lungo periodo dell’area della moneta unica, oltre le contingenti miserie della crisi ellenica.
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L’apertura del ministro delle Finanze tedesco, dalle pagine dello Spiegel, a una maggiore integrazione fiscale ha spinto sotto i riflettori il lavoro che un gruppo presieduto da Mario Monti (e composto tra gli altri da Pierre Moscovici, Guy Verhofstadt e Frans Timmermans) sta realizzando dall’inizio del 2014 per conto di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo: una proposta articolata per rendere più semplice e più automatico il reperimento di risorse finanziarie per l’Unione. Ad oggi, solo il 17 per cento dei fondi di Bruxelles sono raccolti direttamente (i dazi doganali, ad esempio), mentre l’83 per cento deriva dai contributi degli stati nazionali sulla base – in teoria – del loro prodotto nazionale lordo e di una quota dell’Iva raccolta. In pratica, però le cose sono decisamente più farraginose. Anzitutto, spiegano gli esperti di cose comunitarie, gli stati sono spesso morosi e reticenti a pagare quanto dovuto. Dal 1985 in avanti, poi, in nome del principio del “juste retour” (la restituzione dei soldi a chi contribuisce di più), al Regno Unito e ai paesi del Nord Europa sono stati concordati decine di correttivi, eccezioni e deroghe, tali da rendere impossibile un’analisi chiara e trasparente del bilancio comunitario.
Nel primo rapporto consegnato dall’ex premier italiano agli stati membri lo scorso dicembre, sono enumerate le diverse possibili proposte per superare lo status quo e dotare l’Unione di un’autonoma capacità fiscale. Tra le proposte sul tavolo, ci sono l’ipotesi di una Iva europea dell’1 per cento (con la contestuale riduzione di un punto percentuale dell’Iva nazionale, per non modificare il carico complessivo) e quella di una quota dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Di fatto, sono le stesse proposte evocate da Schäuble al settimanale tedesco. Col clima che c’è, sarà pressoché impossibile che i paesi esterni all’Eurozona – Regno Unito in testa – decidano di entrare nella partita delle risorse proprie o che accettino di rinunciare ai famigerati sconti. Più probabile che il lavoro del Monti group finisca per fare da bozza per la sola Eurozona, sancendo così una sempre maggiore distanza tra l’Europa dell’euro e l’Europa fuori dall’euro.
Insomma, mentre in Italia monta la polemicuccia sulla “eurotassa”, nemmeno si parlasse di una novella Imu o di un ritorno nell’agone politico di Romano Prodi, in Germania c’è un super-ministro che chiude un capitolo e ne apre un altro, enorme. Con le sue parole Schäuble archivia l’ipotesi degli Eurobond, che ancora a inizio mese aveva contrapposto la cancelliera Merkel al presidente della Repubblica francese François Hollande, e prova ad aprire la partita dell’unione fiscale. Non sarà una partita facile, anzitutto per la Germania stessa (la cancelliera è apparsa guardinga rispetto alle parole del suo ministro) e per i paesi più ricchi e prosperi dell’Eurozona, che temono di diventare finanziatori netti delle inefficienze greche e mediterranee. Ma è probabilmente l’unica partita che l’Eurozona può giocare, per uscire dalla logica dell’emergenza, dei referendum impazziti e dei traballanti piani Juncker.
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