Governo latitante su tagli della spesa e privatizzazioni
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La verità è che, a tutt'oggi, il merito del miglioramento dei conti pubblici va interamente al calo della spesa per interessi, che è stato di 0,3 punti percentuali di pil negli ultimi 12 mesi, accelerando soprattutto dopo gli aiuti alla liquidità varati dalla Bce
di Sergio Luciano, Italia Oggi 29.4.2015
Certo, le grida d'allarme non bastano: ma meno male che almeno la Banca d'Italia, pur attraverso tante evoluzioni e anche complicazioni che hanno scandito gli ultimi anni della sua vita, non manca mai agli appuntamenti con la storia. In cui le tocca, appunto, sempre il ruolo ingrato del grillo parlante. E a proposito di finanza pubblica, lo ha rivestito nuovamente pochi giorni fa nell'audizione parlamentare sul Documento economico e finanziario, mettendo il dito nella piaga: dal governo, finora, molte promesse e pochi fatti, soprattutto sui due tavoli teoricamente cruciali per l'andamento delle finanze pubbliche, cioè il contenimento della spesa e i proventi da privatizzazioni.
Un bagno di realismo, uno scossone, rispetto a quelli che sono invece i «tormentoni» del dibattito mediatico-politico. Giornali e politici parlano sempre di italicum e di Jobs-Act, ma i numeri che rilevano dal punto di vista dei mercati, cui guarda con apprensione Bankitalia, sono altri.
La verità è che, a tutt'oggi, il merito del miglioramento dei conti pubblici va interamente al calo della spesa per interessi, che è stato di 0,3 punti percentuali di pil negli ultimi 12 mesi, accelerando soprattutto dopo gli aiuti alla liquidità varati dalla Bce. Alias, il merito è delle misure prese da Mario Draghi. Gli introiti attesi dalle privatizzazioni sono stati ridotti dal ministro Padoan, peraltro giustamente, dallo 0,7% del pil allo 0,4%; e la spending review è tutta da riscrivere, come ha deciso lo stesso Renzi affidando la spinosissima pratica al suo consigliere economico Yoram Gutgeld, che si è fatto affiancare dall'economista Roberto Perotti. Come dire: niente di fatto.
Per centrare l'obiettivo del contenimento del deficit al 2,6% – ha ricordato Bankitalia – servirebbero 8,5 miliardi, di cui non si vede traccia nelle strategie dell'esecutivo. E quanto al rientro dall'enorme debito pubblico che ci schiaccia, di questo passo – a botta di piccoli «avanzi primari» e senza nessuna manovra straordinaria sul patrimonio dello Stato – ci vorranno cent'anni. Questi sono i fatti. Renzi probabilmente direbbe: datemi la governabilità con l'italicum e poi vedrete. Forse. Ma intanto il Paese resta esposto alle intemperie dei tassi, senza «se» e senza «ma».