SCENARIO PIL/ Mario Baldassarri, “300 mld nell’Ue e 120 in Italia per dire addio al declino”
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Le prospettive per le economie di Ue e Italia non sono positive. Occorre un colpo di reni che aiuti la crescita e la finanza pubblica
03.07.2024 – Lorenzo Torrisi int. ilsussidirio.net lettura5’
L’Ue sta attraversando una fase di interregno in attesa che si insedi la nuova Commissione, con tutta probabilità guidata ancora da Ursula von der Leyen. Intanto si aspetta l’esito del secondo turno delle parlamentari francesi per capire quali saranno gli equilibri politici in un Paese che, come il nostro, è oggetto di una procedura d’infrazione che richiederà un importante risanamento dei conti pubblici nei prossimi anni. Anche per questo, secondo Mario Baldassarri, ex viceministro dell’Economia e Presidente del Centro studi EconomiaReale di Roma e dell’Istao di Ancona, organizzatore del terzo Monteconero Adriatic Economic Forum (Maef) al via domani nel capoluogo marchigiano, «l’Europa e l’Italia hanno bisogno di un colpo di reni».
Perché parla di un “colpo di reni”?
Durante i due giorni del Maef, presenteremo il XIX Rapporto del Centro studi EconomiaReale con un orizzonte previsionale che arriva fino al 2028. Si tratta di previsioni utili a indicare un quadro di riferimento, in modo tale che, in caso di necessità, la politica economica possa intervenire per modificarlo. Ebbene, nei prossimi anni rischia di perpetuarsi la situazione già vista negli ultimi 15 anni: gli Usa cresceranno la metà circa di Cina e India, l’Europa crescerà la metà degli Stati Uniti, l’Italia un po’ meno della media Ue. Per invertire questo trend e cominciare a recuperare terreno, sia in Italia che in Europa c’è bisogno di un colpo di reni.
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A livello europeo cosa si dovrebbe fare?
Anzitutto serve un salto istituzionale e politico che trasformi l’Europa in una costruzione a tre cerchi concentrici. Il primo è l’Eurozona, ma si potrebbe iniziare subito con un patto tra Francia, Germania, Italia e Spagna, che insieme rappresentano il 70% di Pil e popolazione, per dare vita a un piccolo embrione di bilancio federale in grado di rendere permanente il Next Generation Eu.
Quante risorse servirebbero?
Al Maef presenteremo un’ipotesi che prevede 300 miliardi in tre anni, da utilizzare per investimenti pubblici in infrastrutture materiali e immateriali, in difesa, in sicurezza e immigrazione, in alta formazione di capitale umano e in innovazione tecnologica. Abbiamo anche stimato gli effetti di tali investimenti: ci sarebbe un un gioco a somma positiva per tutti, con impulso di crescita anche per gli altri Paesi dell’Eurozona e dell’Ue, che rappresenta il secondo cerchio concentrico. Di fatto l’Europa potrebbe cominciare a crescere agli stessi livelli degli Stati Uniti.
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Dove si potrebbero trovare i 300 miliardi necessari per dar vita a questo mini-bilancio federale?
Per due terzi tramite emissione di debito comune. Gli atri 100 miliardi da risorse proprie dei quattro Stati in proporzione al loro Pil. In particolare, più di 30 miliardi potrebbero arrivare dalla tassazione delle multinazionali del web e il resto dalla carbon tax e dall’incremento delle imposte sul gioco d’azzardo e sui tabacchi. Ovviamente gli altri Paesi membri potrebbero in qualunque momento aggregarsi ai quattro iniziali. Credo sia però importante evidenziare che solamente con l’avvio di questo bilancio federale con debito comune si potrà cominciare a ragionare su un allargamento dell’Ue verso i Balcani e fino all’Ucraina.
Questo “impianto” sarebbe compatibile con il Patto di stabilità appena riformato?
L’impulso alla crescita che ne deriverebbe ridurrebbe in modo consistente i rapporti deficit/Pil e debito/Pil verso i parametri del Patto di stabilità e crescita. E la spinta agli investimenti e alla crescita metterebbe in ordine la finanza pubblica in un modo più efficace e costruttivo rispetto all’osservanza di numeretti frutto delle trattative tra Stati membri e Commissione europea e che non distinguono tra spesa corrente e investimenti.
La Germania accetterebbe mai l’emissione di debito comune?
Rispondo con una domanda: qual è l’alternativa a questo salto istituzionale? Con una crescita che resta sotto l’1%, il peso dell’Europa continuerà a ridursi fortemente nell’ambito del commercio mondiale. Dunque, l’alternativa è la totale irrilevanza dell’Europa nel mondo globale, sia sul piano politico che economico. Anche per questo prima si parte, meglio è e provocatoriamente abbiamo indicato nel 2025 l’inizio di questo progetto di bilancio federale.
Prima ha parlato di un’Europa a tre cerchi concentrici. Quale sarebbe il terzo?
Occorre creare un’area di libero scambio e cooperazione allo sviluppo Europa-Africa. Di fatto si tratta di far diventare il Piano Mattei un approccio di tutta l’Ue.
Finora abbiamo parlato di Europa, ma prima ha detto che occorre anche un colpo di reni da parte dell’Italia.
Sì, il nostro Paese, anche assumendo che la Commissione europea conceda di prolungare fino al 2028 il Pnrr in modo da consentire il completamento di tutte le opere previste, continuerebbe a registrare una crescita molto modesta e ad avere un condizione di finanza pubblica fragile. Per questo abbiamo messo a punto due proposte. La prima riprende quanto abbiamo già detto negli scorsi anni circa la necessità di ristrutturare il bilancio pubblico dal lato della spesa (1.150 miliardi di euro nel 2024 secondo il Def) che delle entrate (1.020 miliardi). Solo guardando i saldi è evidente che c’è uno squilibrio che è poi all’origine dei problemi di finanza pubblica del nostro Paese.
Cosa bisognerebbe fare sul fronte della spesa e delle entrate del bilancio pubblico?
Sappiamo che ci sono almeno 150 miliardi spesi male e che mancano 90-100 miliardi di introiti a causa di evasione ed elusione fiscale. Certamente intervenire su questo fronte significa entrare in contrasto con tutte le congregazioni, le logge, le corporazioni che difendono i loro privilegi e vogliono mantenere lo status quo. Tuttavia, tagliando 20 miliardi di sprechi negli acquisti di beni e servizi e riducendo di altrettanti miliardi sia le risorse a fondo perduto che le tax expenditures, si possono reperire, già nel 2025, 40 miliardi per ridurre l’Irpef rivedendo le aliquote e 20 miliardi per abolire l’Irap e/o tagliare il cuneo fiscale che grava sulle imprese.
Con quali effetti sulla crescita?
Si passerebbe da un incremento del Pil inferiore all’1% l’anno a un aumento del 2-2,5% annuo. Oltre a contribuire alla diminuzione della disoccupazione, si riuscirebbe a migliorare i rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Ma potremmo fare ancora meglio tramite la nostra seconda proposta, che fa riferimento ai numerosi interventi del Professor Gustavo Piga circa la necessità di un forte programma pluriennale di investimenti pubblici, anche immateriali.
Questi investimenti pubblici a quanto dovrebbero ammontare?
A 60 miliardi di euro dal 2025 al 2028. Anche in questo caso 20 miliardi potrebbero arrivare dal taglio dei fondi perduti, altri 20 dalla riduzione delle tax expenditures e altrettanti dall’eliminazione di sprechi negli acquisti di beni e servizi. L’effetto combinato delle due proposte farebbe crescere il Pil oltre il 3,5% l’anno, porterebbe il tasso di disoccupazione verso il 5%, farebbe scomparire il deficit/Pil dopo il 2026 e crollare il rapporto debito/Pil al 125,5% nel 2028.
Tutto questo ci darebbe una grossa mano con l’Europa e la procedura d’infrazione per eccesso di deficit, ma sommando le due proposte ne viene fuori una manovra da 120 miliardi: non è troppo?
Sembra che nessuno si ricordi che negli ultimi due anni e mezzo il nostro Paese ha fatto manovre per complessivi 250 miliardi, tra l’altro tutti in deficit: 170 miliardi per il Superbonus 110% e 80 per i sostegni contro il caro bollette che sono poi finiti ad alimentare gli extraprofitti delle imprese energetiche.
Dunque, occorre solo la volontà politica per varare interventi sul bilancio pubblico scomodi per qualcuno, ma che avrebbero benefici collettivi…
Sì, è così. Sia per quanto riguarda l’Italia che l’Europa occorrono interventi scomodi per qualcuno, ma in grado di cambiare in meglio il nostro futuro. In entrambi i casi mi sento di dire: se non ora quando?
(Lorenzo Torrisi)