Golpe putinista. La controrivoluzione russa fa la guerra all’Ucraina e minaccia l’Europa
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Dopo un anno di guerra è evidente ciò che la resistenza ucraina ha risparmiato al resto dell'Europa orientale post-sovietica: gulag, rapimenti, deportazioni, tortura e fosse comuni.
30.4.2023 Vasyl Čerepanyn linkiesta.it lettura5’ Traduzione a cura di Voxeurop
Per Vasyl Čerepanyn, curatore d'arte e militante politico ucraino, la guerra di Mosca è un colpo di stato militare contro trent'anni di storia europea
Quando il presidente russo Vladimir Putin, nel suo discorso televisivo per giustificare l’avvio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, ha lanciato un avvertimento agli altri paesi perché non si intromettessero, al rischio di andare incontro a «conseguenze mai viste nella storia», molti leader occidentali non si sono limitati ad avere paura, ma hanno tirato un sospiro di sollievo: finalmente avevano un motivo legittimo per tenersi in disparte, nascondendosi dietro alla minaccia dell’uso dell’arma atomica.
Dopo un anno di guerra a tutto campo da parte della Russia, è diventato chiarissimo, anche per chi non è coinvolto, da cosa l’Ucraina abbia finora salvato l’Europa orientale (soprattutto la sua parte post-sovietica): campi di filtrazione, rapimenti, deportazioni, torture, fosse comuni e altre atrocità che accompagnano le cosiddette “annessioni”.
Se non fosse stato per la resistenza militare ucraina, non solo l’Ucraina stessa, ma l’Unione europea e la Nato esisterebbero oggi nella loro forma attuale, e l’Occidente non sarebbe indaffarato con il numero di carri armati da consegnare a Kyjiv, ma con il modo in cui affrontare la Repubblica Popolare di Chișinău, la Repubblica Popolare di Narva, la Repubblica Popolare di Białystok.
Questa guerra è stata spesso definita una guerra di aggressione, una guerra di logoramento, una guerra continentale, a volte una guerra totale — tutte definizioni corrette — ma c’è una specificità della guerra della Russia contro l’Ucraina che viene omessa.
A differenza della maggior parte dei recenti conflitti militari, questa guerra non è semplicemente una guerra tra due paesi, non è solo tra due eserciti e non è tra un esercito e un’insurrezione: è una guerra dell’esercito di un paese con il sostegno e il coinvolgimento diretto della sua popolazione contro il popolo di un altro paese, che è stato privato del diritto di esistere.
L’argomentazione genocida e auto-negante del Cremlino è la seguente: voi non esistete, ma poiché esistete e non dovreste esistere, dovete essere eliminati. In realtà, non si tratta di un riferimento esotico per l’Europa, tutt’altro, è storicamente molto riconoscibile.
Poiché la guerra condotta dalla Russia è fondamentalmente finalizzata a sconvolgere l’ordine politico e istituzionale europeo, che a sua volta è uno dei principali risultati della sconfitta del nazismo, non a caso è condotta facendo rivivere e invocando alcune delle rispettive narrazioni e pratiche della Seconda guerra mondiale.
La rivoluzione di Maidan è stata l’ultima rivoluzione europea di successo: la natura ideologica della guerra in corso della Russia contro l’Ucraina e l’Europa dovrebbe essere vista come fondamentalmente controrivoluzionaria, basata sul risentimento storico, sulla frustrazione e sulla reazione politica. A prescindere dall’ambito sociale o dall’involucro retorico, tutte le imprese del Cremlino hanno avuto un unico, fondamentale scopo: impedire un cambio di regime.
La rivoluzione è sempre stata la più grande paura del regime di Putin, talmente ossessionato dal Maidan ucraino al punto di trasformare l’intero suo paese in un anti-Maidan, eliminandone con ogni mezzo la pur illusoria vicinanza.
La società russa è diventata un’anti-società, poiché tutte le istituzioni e i rappresentanti della società civile sono ora etichettati come “agenti stranieri”, espulsi dal paese o imprigionati. La cittadinanza russa è diventata un’anti-cittadinanza, poiché i russi stessi sono stati sostituiti con l’entità pseudo-metafisica del Russkiy mir (il “mondo russo”), che ha bisogno di “protezione” ovunque si trovi una popolazione di lingua russa. La politica russa è diventata antipolitica, poiché è stata letteralmente trasformata in un’operazione militare speciale su tutti i fronti.
Putin ha definito il crollo dell’Unione Sovietica «la più grande catastrofe geopolitica del Ventesimo secolo», ma quel crollo è stato in realtà accompagnato da un tentativo militare di invertire il corso della storia, un golpe che è diventato un evento determinante per il quadro ideologico del Cremlino. Il putinismo è essenzialmente un golpismo: la specificità del golpe putinista è che non ha un particolare nucleo ideologico o un contenuto politico in sé. Il colpo di stato dell’agosto 1991 è stato organizzato non per salvare l’ideologia comunista o perché i complottisti credessero veramente nel socialismo, ma proprio per impedire un cambio di regime e annientare l’alternativa.
Nel complesso, la guerra della Russia contro l’Ucraina è un golpe contro la storia europea degli ultimi trent’anni. Il golpe è fallito nel 1991, ma ci sono voluti solo otto anni per il suo ritorno, quando Putin è stato elevato alla presidenza nel 1999. Putin ha assistito alla caduta del muro di Berlino e ha vissuto in prima persona l’esperienza antirivoluzionaria nella DDR durante quella che i tedeschi chiamano la Rivoluzione pacifica del 1989. La sua principale occupazione personale, mentre era un agente del KGB, era quella di dare la caccia e perseguitare i dissidenti; in breve, eliminare la possibilità di cambiamento e impedire l’emergere di qualsiasi alternativa.
Prima capo dell’FSB [l’erede del KGB] e poi capo dello stato, non a caso Putin considerava Jurij Vladimirovič Andropov, già direttore del KGB e poi segretario generale del PCUS, come suo diretto antenato spirituale e predecessore nella Guerra Fredda. Andropov è stato ambasciatore sovietico in Ungheria, dove ha avuto la fama di “Macellaio di Budapest” per la sua spietata repressione dell’insurrezione ungherese del 1956. Fu anche uno dei principali sostenitori della repressione della Primavera di Praga nel 1968 e dell’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979.
Quegli interventi militari, allora come oggi, furono giustificati con il pretesto di una presunta aggressione della Nato/Cia. Andropov era perseguitato dal “complesso ungherese” come Putin dal Maidan ucraino, ed entrambi erano fermamente convinti che solo la forza armata avrebbe potuto garantire la sopravvivenza del regime.
La Russia ha lanciato la sua invasione militare dell’Ucraina nel 2014 proprio lo stesso giorno in cui, il 22 febbraio, la rivoluzione di Maidan trionfava. Questa guerra è stata fin dall’inizio una controrivoluzione allo stato puro.
La principale lezione politica di Maidan è quella sulla violenza. A causa della sua natura dura e del pericolo immediato, la violenza politica rimane ancora, spesso, in una zona di disabilità riflessiva. Quello che oggi viene chiamato “pacifismo” segna solo l’impotenza e l’assenza di strumenti concettuali e pratici adeguati per affrontare una situazione politicamente violenta.
Una caratteristica cruciale che distingue la violenza rivoluzionaria da altri tipi di violenza politica è che se non si applica la violenza in un certo momento del processo rivoluzionario, si causerebbe una violenza molto più grande in seguito. Se i manifestanti di Maidan non avessero reagito alla polizia pesantemente armata, l’apparato repressivo statale avrebbe prevalso, l’Ucraina avrebbe cessato di essere una democrazia e oggi assomiglierebbe più o meno alla Bielorussia di Aljaksandr Lukašėnko, con repressioni politiche di massa e un violento giro di vite nei confronti del dissenso.
Questo approccio politico – l’argomentazione per ottenere il cambiamento e difendere la rivoluzione – è ovviamente l’opposto di quello di non escalation e non radicalizzazione attualmente prevalente in Occidente. L’Ucraina sta pagando un prezzo impensabile non solo per l’attuale rinascita geopolitica dell’Occidente, favorita dall’efficace resistenza militare dell’Ucraina all’aggressione russa, ma anche per la rinascita dello stesso dell’Occidente di oggi nel passato, dato che è l’Ucraina a sostenere il vero costo della guerra per la rivoluzione pacifica del 1989. E le paure dell’Occidente non fanno altro che rimandare un’odiosa verità: chi siete pronti a sacrificare la prossima volta?
Se ci si muove passo dopo passo e si aspetta costantemente, l’esito finale sarà molto più atroce che se si interviene subito con la violenza. Questa è la lezione rivoluzionaria che l’Occidente deve imparare al più presto, semplicemente perché non ha altra via d’uscita che vincere questa guerra insieme all’Ucraina.