UN FOGLIO INTERNAZIONALE Esiste davvero il pericolo di una terza guerra mondiale?
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L’Ucraina, il confronto tra gli Stati Uniti (vulnerabili nelle risorse) e la Cina, le analogie con il passato. L’analisi, e le paure, di Niall Ferguson
09 GEN 2023 ilfoglio.it lettura5’
"La guerra è un inferno; e se lo dubitate, vi consiglio di andare in Ucraina o di guardare Niente di nuovo sul fronte occidentale di Edward Berger, il riadattamento per Netflix del famoso romanzo contro la guerra di Erich Maria Remarque del 1929”. Così inizia il saggio dello storico di Stanford Niall Ferguson per Bloomberg, in cui parla delle possibilità di una terza guerra mondiale.
Riferendosi a un recente articolo di Kissinger sullo stesso argomento, l’autore fa un parallelo storico: ci troviamo di nuovo a un punto di svolta, come lo fu il 1916, quando Gran Bretagna, Francia e Germania esplorarono la possibilità di terminare il conflitto senza trovare alcun accordo. Oggi è tornata la guerra ma, si domanda Ferguson, potrebbe tornare una guerra mondiale? Se così fosse, avrebbe un impatto su tutte le nostre vite. Ci siamo dimenticati gli effetti delle guerre sull’economia globale – inflazione, crisi del debito, perfino le carestie – perché i conflitti recenti (Bosnia, Afghanistan, Iraq) sono stati relativamente piccoli. In tempi di guerra, ogni grande potenza deve dare da mangiare alla sua popolazione e sostenere le sue industrie. La difficoltà aggiuntiva è passare dall’interdipendenza all’auto sufficienza; questo rende tutto più costoso rispetto al libero commercio e il vantaggio comparato. La storia insegna anche che la principale fonte di potere è la superiorità tecnologica nella produzione di armi. Nel 2022, il vantaggio cruciale consiste nella capacità di produrre in grandi quantità semiconduttori e satelliti, oltre ai sistemi di combattimento algoritmici da cui dipendono questi.
Le lezioni delle guerre del secolo scorso, spiega Ferguson, sono due.
Primo: il combinato disposto tra la supremazia tecnologica e finanziaria dell’America e le sue abbondanti risorse naturali, si è rivelato imbattibile.
Secondo: gli imperi anglofoni dominanti non sapevano praticare la deterrenza. Per due volte, il Regno Unito non è riuscito a dissuadere la Germania e i suoi alleati a scommettere su una guerra mondiale. Il risultato sono stati due enormi conflitti costati - sia in termini di perdite umane che di danni economici - molto più della deterrenza. Gli Stati Uniti, l’impero anglofono dominante dai tempi dalla crisi del Suez del 1956, hanno compiuto errori simili; non sono riusciti a contenere la diffusione del comunismo in quello che un tempo veniva chiamato il Terzo mondo, e hanno fallito a dissuadere Vladimir Putin dall’invadere l’Ucraina. La prossima sfida dell’America sarà evitare che la Cina invada Taiwan. Qual è la strategia americana per contenere Russia e Cina? Ferguson la riassume così: formare e mantenere alleanze che evitino allo schieramento opposto di raggiungere il tuo stesso sviluppo tecnologico. “Questa è di fatto una strategia da guerra fredda”.
Il piano americano contro la Russia ha rimpicciolito l’economia di Mosca, indebolito il suo esercito e reso il paese ancora più dipendente dalla Cina, a cui vende le proprie esportazioni a un prezzo scontato. La strategia di Biden ha due problemi ovvi. Innanzitutto, se le armi letali autonome sono l’equivalente delle armi nucleari tattiche – come sostengono molti analisti citati da Ferguson – Putin prima o poi potrebbe essere costretto a usare le seconde, non avendo le prime. Il secondo problema è che l’amministrazione Biden sembra avere delegato le tempistiche dei negoziati sulla pace a Kyiv – e le precondizioni richieste dagli ucraini sono palesemente inaccettabili per Mosca. “Come il conflitto in Corea nella prima guerra fredda – sostiene Ferguson – la guerra in Ucraina sembra destinata ad andare avanti finché non verrà raggiunto uno stallo, Putin morirà e verrà concordato un armistizio che delineerà un nuovo confine tra Russia e Ucraina. Il problema con le guerre prolungate è che l’opinione pubblica in America e in Europa tende a stancarsi prima del nemico”.
La Cina è un osso più duro rispetto alla Russia. Le sanzioni hanno riportato l’economia e l’esercito russo indietro agli anni Novanta. Al contrario, la strategia per contrastare l’ascesa della Cina consiste nell’impedire il suo sviluppo tecnologico vietando le esportazioni di alcuni strumenti tecnologici. Come ha spiegato il consigliere alla sicurezza nazionale Jake Sullivan, l’obiettivo di Washington non è più quello di mantenere un “vantaggio relativo” sui suoi competitor ma di allargare il più possibile il divario con essi. Scrive Ferguson: “L’esperienza della prima guerra fredda conferma che questi metodi possono funzionare. I controlli sulle esportazioni sono una delle ragioni per le quali l’economia sovietica non è risuscita a mantenere il passo con l’America nel campo della tecnologia. La vera domanda è se questo approccio può funzionare contro la Cina”, che ha un’economia industriale molto più sviluppata rispetto all’Urss.
La Cina dispone di altri punti di forza; il paese domina la produzione di minerali vitali che alimentano l’economia moderna – come il nichel, cobalto e litio – e vengono utilizzati per produrre smartphone, veicoli elettrici, pannelli solari e semiconduttori. Un divieto di esportazione verso l’America sarebbe un duro colpo per Washington, e costringerebbe il paese e i suoi alleati a sviluppare nuovi fonti in fretta. Al contrario, la posizione fiscale dell’America viene spesso considerata la sua principale debolezza. Nel prossimo decennio, i tassi d’interesse sul debito americano dovrebbero eccedere la spesa sulla difesa. Inoltre, ora che la Federal Reserve pratica il cosiddetto quantitative tightening, non è chiaro chi acquisterà i buoni del Tesoro americani. Questo potrebbe dare alla Cina un’opportunità di esercitare pressione finanziaria sugli Stati Uniti. Il paese detiene 970 miliardi di bond americani; se decidesse di venderli, farebbe aumentare i tassi d’interesse sui titoli statunitensi senza pagarne alcun prezzo.
Tuttavia, secondo Ferguson la più grande vulnerabilità americana consiste nelle risorse, piuttosto che nella finanza. Anni fa l’America ha smesso di essere una potenza manifatturiera, diventando un’importatrice del resto del mondo. Al giorno d’oggi gran parte dei beni si muovono in circa sei milioni di container che vengono trasportati a loro volta da 61 mila navi. Lo storico spiega che la Belt and Road initiative della Cina ha ridotto la dipendenza di Pechino dal commercio via mare. Allo stesso tempo, il conflitto in Ucraina ci ha ricordato che l’interruzione del commercio è uno strumento di guerra vitale; una grande potenza deve essere in grado di sostenere la produzione di massa di armi, con o senza accesso alle importazioni.
“Gli Stati Uniti oggi si trovano grosso modo nella stessa posizione dell’impero britannico negli anni Trenta. Se ripete gli errori commessi dai governi britannici in quel decennio, un’America con chiare debolezze finanziarie non riuscirà a dissuadere l’asse nascente tra Russia, Iran e Cina dal rischiare conflitti simultanei in tre diversi teatri: Europa dell’est, medioriente ed estremo oriente. La differenza è che oggi non ci sarà alcuna potenza industriale alleata ad agire da ‘arsenale della democrazia’, per citare la frase utilizzata dal presidente Franklin D. Roosevelt in un discorso alla radio il 29 dicembre 1940. Stavolta sono le autocrazie ad avere l’arsenale”. Secondo Ferguson, l’amministrazione Biden deve evitare una guerra commerciale aggressiva con la Cina che possa fare trovare Pechino nella stessa posizione del Giappone nel 1941, “lasciandolo con l’unica scelta di un’azione militare”. Questo sarebbe molto pericoloso, dato che la posizione della Cina oggi è più forte di quella del Giappone all’epoca. Ferguson conclude: “Kissinger fa bene a temere il pericolo di una guerra mondiale. La Prima e Seconda guerra mondiale sono state precedute da conflitti più piccoli: la guerra dei Balcani del 1912 e 1913, l’invasione italiana dell’Abissinia (1936), la guerra civile spagnola (1936-39), la guerra sino-giapponese (1937). L’invasione russa dell’Ucraina sembra andare bene per l’occidente in questo momento. Ma in uno scenario da incubo, questa potrebbe rivelarsi il presagio di una guerra mondiale”. (Traduzione di Gregorio Sorgi)