IL PREZZO DELLA GLOBALIZZAZIONE - PREPARATEVI PER LA STANGATA SUI REGALI DI NATALE (già avvenuto per le materie prime per le fabbriche)
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LA CHIUSURA DEL TERMINAL DEL PORTO CINESE DI NINGBO PARALIZZA IL COMMERCIO MONDIALE. IL COSTO DEI TRASPORTI VIA MARE STA DIVENTANDO INSOSTENIBILE
23.8.101\ dagospia.com lettura3’
E I TEMPI SI ALLUNGANO SEMPRE DI PIÙ, COME SA BENE CHI HA PROVATO A COMPRARE QUALCOSA DALLA CINA NELLE ULTIME SETTIMANE - PER ARRIVARE IN TEMPO PER NATALE, LE NAVI DOVRANNO LASCIARE LA CINA A METÀ OTTOBRE. E CON I PORTI CONGESTIONATI, POTREBBERO COMUNQUE NON FARCELE
Francesco Margiocco per “La Stampa” La chiusura di uno dei terminal del porto di Ningbo è tutta politica. Bloccandolo, perché un suo lavoratore è risultato positivo al tampone, la Cina mostra mano ferma contro il Covid ma paralizza uno dei suoi maggiori scali, fa schizzare il costo del trasporto via mare e fa temere il peggio per Natale.
Umberto Ruggerone, presidente di Assologistica, parla a nome di oltre 250 aziende con 70 mila dipendenti: «L'aumento dei noli, dei prezzi per il trasporto dei container, è spaventoso, i container non si trovano, le ricadute sui costi della logistica sono enormi e la campagna natalizia partirà in ritardo e con un rincaro dei prezzi».
La rotta dalla Cina all'Europa richiede tra i 25 e i 35 giorni. Per arrivare in tempo per lo shopping di Babbo Natale, le navi dovranno lasciare la Cina a metà ottobre. Con i porti congestionati, potrebbero non farcela. Da un anno il commercio internazionale si è rimesso in moto a un ritmo che la logistica non riesce a seguire.
Non ci sono abbastanza navi, né container. Paolo Pessina, presidente di Assagenti, associazione degli agenti e mediatori marittimi, e consigliere delegato in Italia di Hapag-Lloyd, tra le maggiori società di trasporto container al mondo, ricorda che, dal 2015 al 2020, «le stesse compagnie che oggi guadagnano miliardi di dollari al giorno, li perdevano. I noli erano bassissimi. In quegli anni le compagnie hanno tagliato i costi e hanno quasi azzerato gli ordini di nuove navi».
Il quadro si è capovolto, i traffici sono ripresi e quest' anno, secondo la società di consulenza Drewry, le fabbriche di container dovrebbero produrre 5,4 milioni box da 20 piedi, circa 6 metri di lunghezza per 2,4 di larghezza e 2,6 di altezza, la misura standard. Nel 2019 la produzione di container, o teu, era stata di 2,8 milioni.
«I produttori di teu sono 4, tutti in Cina, e stanno ricevendo ordini da tutte le compagnie», ricorda Pessina. La sola Hapag-Lloyd ha ordinato, negli ultimi mesi, mezzo milione di teu in gran parte ancora da consegnare. Le compagnie di navigazione stanno usando tutte le navi, ma non bastano. Al primo lockdown, molte si sono fermate dove non era previsto e molti container sono stati sbarcati dove non avrebbero dovuto. Come con il fallimento della Swissair, che nel 2001 lasciò a terra migliaia di passeggeri.
Con la differenza che i container non chiedono aiuto e sono più difficili da recuperare. La carenza di navi e container fa aumentare i noli. Il costo dell'invio di un container dalla Cina al Mediterraneo è passato in un anno, secondo l'indice Fbx, da 1.767 a 12.301 dollari, +600%.
Dal Mediterraneo alla Cina, l'Fbx è salito da 986 a 1.528 dollari. «Il rincaro dei noli fa salire il prezzo dei prodotti, specie quelli a basso valore aggiunto», dice Pessina. Nuove navi mercantili, da 20 mila e più teu, sono in costruzione nei maggiori cantieri del mondo. Le prime consegne avverranno però a inizio 2022. «Solo allora, con l'aumento dell'offerta di trasporti, i noli scenderanno», prevede il presidente di Assagenti. Nel frattempo salgono e si aggira il fantasma dell'inflazione.
«L'industria si riappropri della logistica», suggerisce Pessina. «Gli imprenditori non conoscono la logistica del mare, l'hanno demandata agli spedizionieri. Le aziende italiane devono organizzarsi con gli spedizionieri e contrattare noli più vantaggiosi». Il caro-noli mette in crisi il nostro legame con la manifattura cinese e fa parlare di "nearshoring", rilocalizzazione delle imprese vicino a casa.
«Abbiamo decentralizzato in Cina perché la manodopera costa meno, dimenticando che avremmo enormemente aumentato le importazioni», dice Mario Dogliani, presidente di Sdg4Med, fondazione per lo sviluppo sostenibile del Mediterraneo. «È il caso di pensare a un ritorno alla produzione locale o per lo meno regionale. Il Mediterraneo è in una condizione invidiabile, con i paesi della sponda Sud nei quali i costi della manodopera non sono ancora elevati: l'Unione europea e l'Italia ne avrebbero solo da guadagnare. Con buona pace della Nuova Via della Seta». -