Ma la nostra agricoltura, così com’è strutturata, è sostenibile?
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Bene, ma i dati? In Italia, quante sono le aziende agricole condotte da under 35? Sono tante? Sono poche
Colline prosecco Coneglianese
Agrifoglio da Redazione marzo 2021 lett.3’ ilfoglio.it
La storia dell’agricoltura attraverso l’altezza umana.
Si parla di ritorno alla terra, e si insiste, giustamente, che questa nuova e benvenuta ondata, proprio perché giovane sarà innovativa e dunque anche sostenibile. Bene, ma i dati? In Italia, quante sono le aziende agricole condotte da under 35? Sono tante? Sono poche. I dati Nomisma ci dicono che sono 46 mila.
Valore assoluto alto, quello relativo così e così, appena il 4% sul totale. Il totale è costituto da aziende condotte in gran parte da agricoltori over 65, con una bassa scolarità (i dati complessivi sono questi: 8% è laureato, il 61% ha diploma elementare o di scuola media, il 29% diploma di scuola superiore, il 2% non ha titoli di studio).
Comunque (dato positivo) le nuove aziende, condotte dagli under 35, hanno una superficie agricola intorno ai 20 ettari, rispetto agli 11 di media italiana.
Giusto per leggere in dati nell’insieme e confrontarli. Rispetto ai paesi confinanti, come siamo messi? Non bene. La Spagna ha più aziende giovani e soprattutto hanno una superficie di 32 ha, contro i 25 ha di media nazionale. In Germania gli under 35 conducono aziende di 62 h , contro i 61 ha di media nazionale (in sostanza vecchi e giovani giocano lo stesso campionato sullo stesso campo di calcio). La Francia 83 ha (i giovani) contro i 62 ha di media nazionale.
La nostra agricoltura, dicono i numeri, soffre di problemi antichi: nanismo e frammentazione. Dai tempi degli studi universitari, al dipartimento economia di Agraria, Portici, nella sala intitolata a Rossi Doria, da allora, dicevo, sento queste lamentazioni, sacrosante. Le aziende sono piccole e frammentate, un pezzo qua, un pezzo là. Prendi la macchina lavora la terra, poi riprendi la macchina, scavalla una collina e raggiungi l’altro appezzamento, consumi tutto in gasolio: l’agricoltura italiana rischia di non essere sostenibile.
Difatti –dicono i dati Ismea- in Italia i comparti fondamentali, cerealicolo, frutticolo, olivicolo sono sotto dimensionati. Alcuni, poi, quello olivicolo, per esempio, davvero messi male. Piccole quote di terreno, pochi ettari, a volte condotti da agricoltori part time, un po’ impiegati e un po’ contadini, quindi i campi a olivo sono lasciati lì, giusto una potatura per ottenere un po’ di prodotto da portare al frantoio.
Va bene, ma in fondo si lavora con quello che si ha, quindi concentriamoci sulle cose buone. Le aziende giovani stanno crescendo (e 1 su 4 è condotta da una donna).
Le 5 regioni che si contraddistinguono per la presenza del maggior numero di aziende condotte da giovani agricoltori sono Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Lazio.
Quelle che invece presentano la maggior estensione poderale sono Sardegna (46,5 ettari di media per azienda), Valle d’Aosta (42,8 ettari). Buon dato, però poi coltivano prati e pascoli, quindi mangime per animali.
I giovani agricoltori del Nord, invece, sono più produttivi: Lombardia prima di tutto (409 mila euro di valore della produzione media per azienda), seguite da Veneto (305 mila), Emilia-Romagna (180 mila), Piemonte (135 mila) e Friuli Venezia Giulia (97 mila euro).
Cosa producono i giovani? I settori produttivi che vedono la maggior presenza di giovani sono quello avicolo e del latte (10%) poi l’orticolo (8%), il suinicolo (6%), il frutticolo e il vitivinicolo (5%). Le imprese cerealicole ed olivicole sono marginali.