ECONOMIA Markus Braun e Wirecard stanno affondando la Germania
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“È un disastro“: con queste parole l’organo di vigilanza (per voce del presidente Felix Hufeld) della Germania ha definito la serie di eventi che hanno interessato l’istituto di moneta elettronica bavarese Wirecard. Le accuse di frode finanziaria
Andrea Massardo 24.6.2020 it.insideover.it lettura 5’
“È un disastro“: con queste parole l’organo di vigilanza (per voce del presidente Felix Hufeld) della Germania ha definito la serie di eventi che hanno interessato l’istituto di moneta elettronica bavarese Wirecard, nell’occhio del ciclone per un ammanco di bilancio di 1,9 miliardi di euro. E in effetti, quanto accaduto alla società fintech guidata sino alla scorsa settimana dall’amministrato delegato Markus Braun è una vera e proprio tragedia: non soltanto per l’azienda ma per tutto il comparto finanziario della Germania (e, di conseguenza, anche per il Dax di Francoforte). La vicenda infatti non getta soltanto ombre soltanto su Wirecard, ma anche sulla legislazione troppo permissiva della Germania (e dell’Europa) e soprattutto sulle mancanza degli organi di vigilanza tedeschi, che avrebbero dovuto scoprire prima quanto stesse succedendo negli uffici di Aschheim. Ma soprattutto, insinua il dubbio che tale condotta possa essere stata perpetrata per anni e possa purtroppo interessare anche altri istituti finanziari del Paese, in un terremoto che cambierà per sempre il comparto finanziario tedesco e il mondo delle carte prepagate.
Markus Braun, da “eroe” a “vigliacco”
La storia della società finanziaria Wirecard è stata legata sin dalla sua nascita e dalla sua prima quotazione in borsa del 2006 al nome dell’austriaco Markus Braun, che ha ricoperto per un ventennio la carica di amministratore delegato della società. A seguito dei primi successi e dell’imposizione sul mercato del marchio, la sua figura ha assunto una forma di divinità all’interno dell’ambiente societario. Considerato infallibile da alcuni ed eroe da altri, è stato in grado di scalzare dal Dax la bancaria Commerzbank, imponendosi come leader di mercato europeo nell’emissione di carte prepagate e di servizi accessori. Adesso, però, con il tracollo del titolo azionario e con l’accusa di frode finanziaria che pesa sui massimi dirigenti, il nome e il futuro del marchio sembrano essere destinati alla distruzione. Ma come è potuto accadere tutto questo nel giro di meno di 96 ore?
Sul finire della scorsa settimana la società incaricata di convalidare il bilancio della Wirecard, la Ernest&Young (E&Y), si era rifiutata di apporre il timbro sul documento. La causa era da ricercarsi nel positivo di bilancio apparentemente gonfiato dalla presenza di due conti fiduciari nelle Filippine per un importo complessivo di 2,1 miliardi di dollari, in seguito smentiti anche dalle stesse banche di Manila. Da quel momento in avanti è iniziata la tragedia per il colosso finanziario della Germania e per la reputazione di Braun, arrivato a porre le sue dimissioni assieme a un membro del consiglio di amministrazione (Jan Marsalek). Al suo posto e con l’obiettivo di gestire la crisi è stato nominato Ceo ad interim James Freis.
Da quel momento in avanti è apparso chiaro come non fosse più possibile nascondere l’assenza di quel positivo di bilancio, nonostante nella comunicazione ufficiale del consiglio di amministrazione si sia preferito utilizzare la frase “probabilmente non esisteranno (i conti fiduciari)”. Tuttavia, tanto è bastato affinché la società di rating Moody’s ritirasse la valutazione sul Wirecard, sostenendo che fosse “impossibile, allo stato attuale, convalidare le stime a causa dei dati mancanti (e fuorvianti) circa il bilancio societario”. E soprattutto, il tentennamento da parte del Cda societario è parso quanto mai come l’alzata della bandiera bianca, in assenza anche solo della possibilità di giustificare la fallacia dei documenti presentati in precedenza.
Braun ha venduto le azioni della società
Dopo la scoperta da parte della E&Y del buco di bilancio e le prospettive nere per la finanziaria, l’ex amministratore delegato Braun – come si evince dal quotidiano tedesco DerSpiegel – si sarebbe svuotato di buona parte dei pacchetti di azioni in mano alla sua persona. Il fatto, peraltro, si è verificato tra lo scorso giovedì e venerdì, prima ancora dell’ufficialità delle sue dimissioni, generando introiti stimati superiori ai 150 milioni di euro: insomma, la barca sta affondando ma nel frattempo il capitano ha svuotato le sue casseforti.
Questo comportamento tenuto dall’ex Ceo di Wirecard ha inoltre contribuito al capitombolo in borsa del titolo azionario lo scorso venerdì (arrivato a perdere oltre il 70% del proprio valore) ed alla frenata generale dell’indice di Francoforte. E parte dei soldi, probabilmente, sono stati poi utilizzati per il pagamento della cauzione che gli ha permesso di tornare in libertà dopo l’arresto avvenuto nella giornata di martedì.Tuttavia, al momento rimane ancora da chiarire se nelle sue operazioni Braun abbia agito da solo o in accordo con altri dirigenti societari. In particolar modo, le attenzioni sono ora rivolte a Marsalek, consigliere dimissionario e sulla quale testa, come riportato da AgenziaNova, potrebbe pesare un mandato d’arresto nelle prossime ore.
Le accuse di frode finanziaria
Gli elementi in mano agli inquirenti hanno già fatto ipotizzare il progetto studiato dall’ex amministratore delegato e sarebbe inquadrato all’interno del reato di frode finanziaria, parzialmente riuscito con la vendita delle azioni messa in atto la scorsa settimana. L’obiettivo – specularmente a quanto accaduto con la Parmalat in Italia a cavallo del millennio – sarebbe stato quello di gonfiare a dismisura il valore della società per guadagnare dalla messa in vendita sul mercato delle azioni. E per fare ciò, l’attivo di bilancio di 1,9 miliardi in conti fiduciari dichiarati a Manila sarebbero stati fondamentali, sebbene non abbiano prodotto il risultato sperato.
Per il Dax è un 11 settembre?
Il crollo di uno dei fiori all’occhiello dell’economia tedesca rischia di avere delle gravi conseguenze non soltanto sull’indice di Francoforte ma su tutto il comparto finanziario della Germania. Oltre ad aver evidenziato gravissime lacune nei controlli, infatti, l’intero sistema è stato destabilizzato dal non aver considerato come importanti comportamenti scorretti tenuti dalla società a livello internazionale. Tra tutti, a titolo di esempio e come reso noto dal quotidiano italiano La Verità, aver favorito il trasferimento di denaro delle società operanti nel gioco d’azzardo illegale della Germania nel 2017, oltre a dubbie operazioni avvenute in Singapore nel 2019. E in questo scenario lo stesso presidente della Bafin (la Consob della Germania) è stato preso di mira dalle accuse, definendo lo scandalo esteso a tutto il sistema finanziario e di vigilanza di Berlino.
La serie di eventi che ha avuto luogo tra Aschheim, Francoforte e Monaco di Baviera nell’ultima settimana è destinata ad essere un terremoto sulla finanza della Germania. L’esistenza della pratica attuata senza problemi da Braun evidenzia infatti come tale comportamento potrebbe essere avvenuto anche in altre società attualmente registrate negli indici del Dax. In questa situazione, la sfiducia che sta dunque investendo l’intera filiera potrebbe generare un fuggi fuggi generale dai titoli azionari tedeschi, rivelandosi di punto in bianco l’11 settembre di Francoforte. E in questo scenario – considerando tutte le difficoltà internazionali che già si devono affrontare – è la stessa Germania che inizia pericolosamente a tremare.