Come la finanza alternativa può salvare le imprese
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Il sistema bancario continua a ridurre i prestiti alle aziende. Così le piattaforme fintech stanno prendendo piede. Ma la sfida dei rendimenti e della sostenibilità è solo all'inizio.
Fabio Bolognini 19.9. 2019 15.17 lettera43.it
L’economia italiana stenta a crescere e deve ripartire senza il supporto del credito bancario. È possibile? Vi sono alternative disponibili? Le imprevedibili giravolte estive della politica oscurano al momento importanti quesiti economici e finanziari della macchina Italia. Il dato è di un sistema bancario che continua a contrarre i prestiti alle imprese: altri 45 miliardi in meno negli ultimi 12 mesi, 84 miliardi in meno da gennaio 2018, una riduzione complessiva del 26% dal 2011. È vero che sui 45 miliardi evaporati poco più della metà erano prestiti in sofferenza ceduti e cancellati formalmente dai bilanci delle banche, ma concretamente il credito buono non ha rimpiazzato quello cattivo. E così sembra debba continuare per i prossimi anni.
ANCHE IN ITALIA NON SI TRATTA PIÙ DI UN OGGETTO MISTERIOSO
Se le banche mostrano sempre minore interesse verso la concessione di credito, la finanza alternativa, affacciatasi in Italia da qualche anno, può sostituirsi alle banche e accollarsi il peso di sostenere finanziariamente le imprese? La domanda è attuale per due motivi. Nel Regno Unito, dove sono decollate anni prima, le piattaforme fintech (che forniscono cioè servizi e prodotti finanziari tramite le tecnologie dell’informazione) riforniscono circa un quarto del fabbisogno delle piccole e medie imprese locali e hanno campo libero perché le principali banche non fanno grande resistenza. Anzi in alcuni casi (Barclays–MarketInvoice) si sono arrese a indirizzare una parte dei clienti verso il fintech e l’84% delle banche in Uk si sono dichiarate pronte a partnership. Il secondo motivo è che la finanza alternativa e il fintech italiano non sono più un oggetto misterioso, hanno acquisito reputazione, spazio sui media e qualche anno di sperimentazione.
Nel giro di 3-4 anni i “nuovi player” possono coprire almeno il 10%-15% del credito che le banche non rimetteranno più in gioco
Se nel 2018 le varie forme di finanza alternativa (fondi per minibond, P2P lending, invoice-trading) hanno fornito alle Pmi italiane poco più di un miliardo (ma con tassi di crescita vicini al 100%) si può ipotizzare che nel giro di 3-4 anni i “nuovi player” possano coprire almeno il 10%-15% del credito che le banche non rimetteranno più in gioco, a causa della pressione normativa e della scarsa redditività dei prestiti. Una percentuale decisamente più elevata ricadrebbe sul segmento delle piccole imprese che ha subito più di altri la ritirata dei bancari e su cui il fintech opera con grande efficacia. Sarebbe una prospettiva interessante, ma le previsioni non possono essere scontate. La staffetta tra banche tradizionali e nuova finanza dipende da alcuni fattori tra cui la capacità di consolidamento del “nuovo che avanza” e di rapido cambiamento del “vecchio che arranca”.
LIQUIDITÀ ATTRATTA DA RENDIMENTI INTERESSANTI
Prima di tutto uno dei due propulsori della finanza alternativa, la liquidità di investitori istituzionali, deve rimanere stabile e crescente. Ipotesi probabile se i rendimenti degli asset tradizionali resteranno negativi o vicini allo zero e la politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) accomodante. Fondi pensione e altri asset-manager internazionali hanno promesso rendimenti che oggi arrivano solo in presenza di maggiore rischio oppure di strumenti non completamente liquidi e poco testati. La finanza alternativa offre rendimenti interessanti pertanto attira una fetta sempre maggiore di liquidità.
MA BISOGNA ANCHE PREOCCUPARSI DELLA SOSTENIBILITÀ
Tuttavia la condizione per la stabilità del funding su volumi crescenti è funzione della performance che la finanza alternativa deve dimostrare su orizzonti statistici significativi. Questa è la sfida di tutti coloro che hanno avviato mercati nuovi e piattaforme di lending con il supporto di venture capital e altri investitori in equity. Parallelamente i “nuovi” devono cominciare a preoccuparsi della sostenibilità dei loro conti perché produrre perdite e rifinanziarsi sul mercato italiano non è mai garantito in eterno. I fondi di venture capital entrano, ma vogliono anche uscire dopo qualche anno, possibilmente con profitti.
Il sistema bancario tradizionale non ha il coraggio di disfarsi di infrastrutture informatiche talmente rigide da rallentare l’introduzione dei progetti di digitalizzazione
Il secondo propulsore, la tecnologia, resterà un fattore di vantaggio per il fintech verso il sistema bancario tradizionale che non ha il coraggio (o la possibilità) di disfarsi di infrastrutture informatiche talmente rigide da rallentare l’introduzione dei progetti di digitalizzazione. Il sistema bancario lotta anche con spinte interne che orientano la digitalizzazione molto più al risparmio di costi che alla ricerca di soluzioni per i clienti, come indicato da molti recenti studi.
IL LISTINO PREZZI DELLE BANCHE POTREBBE MUTARE
Un terzo fattore in grado di cambiare equilibri e destini è la possibile virata nella politica di prezzi praticata dalle banche. I bilanci bancari, semestre dopo semestre, presentano cali di volumi e di redditività. Prestare denaro alle imprese sane ma con tassi troppo bassi (spesso in zona 1%) è scelta discutibile sia per l’effettivo costo del rischio/capitale sia per la salute del bilancio. Le banche potrebbero abbandonare questa illusione e rinunciare a una concorrenza autolesionistica. In questo caso la salita degli spread ai livelli richiesti oggi dai fondi che sottoscrivono i bond e minibond delle corporate italiane aprirebbe spazi di manovra maggiore per la finanza alternativa.
PER IL CAMBIAMENTO SERVONO VERE PARTNERSHIP
Il rapporto tra grandi banche e piccole fintech si gioca su progetti di vera o finta collaborazione, che possono determinare cambi di velocità e prospettiva importanti per entrambi i fronti. Se le banche si limiteranno a curiosare e sfiorare con diffidenza i piccoli droni della finanza alternativa faranno pochi progressi verso quella ridefinizione dei loro modelli di business, sollecitata persino dalla Banca d’Italia. Se, invece, opteranno per vere partnership potranno aumentare la velocità di cambiamento e alla fine del percorso servire meglio i clienti. Per ipotizzare un futuro ideale di finanza tradizionale (banche) e finanza alternativa che collaborano attivamente occorre un cambio di passo.
PIÙ PUNTI DI DOMANDA CHE CERTEZZE NEL SETTORE FINANZIARIO
Il ritardo nel cambiamento serve solo a creare spazi per nuove banche (neobanks) soprattutto estere convinte che tecnologia avanzata e modelli ibridi specializzati in solo poche attività producano i ritorni sul capitale che le banche tradizionali si sono dimenticate. Un’ipotesi credibile sulla carta, che tuttavia deve ancora essere dimostrata su cicli economici più lunghi e con strutture molto più pesanti rispetto alle agili fintech. L’impressione è che, a differenza del passato, l’intero settore finanziario presenti oggi più punti di domanda che certezze. Scompare la foresta pietrificata, ma non sappiamo ancora da quale giardino sarà sostituita.