Draghi boccia le proposte di Borghi e Co. su Banca d'Italia
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In un parere richiesto dalla Camera, la Bce avverte che le proposte di legge sovraniste sulla nazionalizzazione di Via Nazionale e sulla proprietà delle riserve auree sono contro i Trattati.
di Luciano Capone e Valerio Valentini 26.6 2019 www.ilfoglio.it
Roma. “C’è ancora chi crede a Borghi?”. Chissà se anche a Mario Draghi, con cui d’altronde ha buona consuetudine, Giancarlo Giorgetti dirà ciò che ha risposto ai cronisti italiani, e cioè che Claudio Borghi non va preso in considerazione. Fatto sta che il presidente della Bce non può cavarsela con una battuta e, per il suo ruolo istituzionale, gli tocca prendere sul serio il responsabile economico della Lega. Così come era già avvenuto per i minibot, Draghi ha dovuto commentare di nuovo le ardite proposte del presidente della commissione Bilancio della Camera, anche perché – nonostante le battute di Giorgetti – al momento è Borghi a dettare la linea a Matteo Salvini e alla maggioranza grilloleghista.
Su richiesta del presidente della Camera Roberto Fico – come da prassi, vista la delicatezza della materia – la Bce ha infatti prodotto un parere sulle proposte di legge in discussione in Parlamento relative alla struttura proprietaria della Banca d’Italia e alla proprietà delle riserve auree. Proprio quest’ultima è una proposta di legge avanzata da Borghi per stabilire che le riserve auree sono di proprietà dello stato e non della Banca d’Italia, che invece le gestisce e le detiene “ad esclusivo titolo di deposito”. Ed è soprattutto su quell’“esclusivo” che Draghi si sofferma, suggerendo di cancellarlo dal testo ed evidenziando che tale riferimento “potrebbe essere letto nel senso che limita (o addirittura esclude) il potere della Banca d’Italia di adottare decisioni indipendenti relativamente alla gestione delle riserve ufficiali”. E una limitazione del genere sarebbe in contrasto con i Trattati europei.
Ma non sarebbe l’unica violazione. Perché la detenzione e la gestione delle riserve – che come peraltro avevano già detto il governatore Ignazio Visco e il premier Giuseppe Conte si realizzano con il diritto di proprietà – devono essere iscritte nello stato patrimoniale di Via Nazionale e dell’Eurotwer. Pertanto “un trasferimento delle riserve in valuta estera (comprese le riserve auree) dallo stato patrimoniale della Banca d’Italia allo stato eluderebbe il divieto – scrive la Bce – di finanziamento monetario”. I Trattati europei, del resto, vietano alle banca centrali nazionali “di finanziare il settore pubblico”: e questo dovrebbe saperlo meglio di altri anche Alberto Bagnai, l’altro ideologo salviniano del ritorno alla lira, visto che è in predicato di diventare ministro per gli Affari europei, che insieme alla sua collega grillina Laura Bottici, ha presentato una mozione votata dall’Aula del Senato che va a sostegno della proposta di Borghi.
Ma siccome gli assalti sovranisti alla struttura dell’eurozona provengono da più parti, Draghi ha dovuto fornire un parere anche sulla proposta di legge sulla nazionalizzazione della Banca d’Italia avanzata da Fratelli d’Italia, ma con simpatie trasversali nel M5s. la relatrice di maggioranza è infatti la grillina Francesca Ruggiero e non a caso, visto che la legge a prima firma di Giorgia Meloni ricalca un analogo progetto messo a punto nel 2016 dallo stato maggiore del M5s: l’attuale sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa, e la presidente della commissione Finanze alla Camera Carla Ruocco. La proposta è, in sintesi, una nazionalizzazione di Banca d’Italia sotto forma di confisca: abolire la riforma del 2013 che ha rivalutato il capitale di Via Nazionale da 156 mila euro a 7,5 miliardi per far ricomprare al Tesoro tutte le 300 mila quote attualmente detenute da istituti di credito privati.
Questo però vorrebbe dire che le quote, del valore ciascuna di 25 mila euro, verrebbero prima svalutate ex lege a “mille lire”, come prevede una legge degli anni Trenta che verrebbe resuscitata per l’occasione. Inevitabile, dunque, che la Bce mostri forti perplessità circa il rispetto del “diritto di proprietà” – visto che gli istituti hanno già pagato le imposte su quelle quote o le hanno acquistate a prezzi attuali – e inviti le “autorità italiane” a “valutare se la proposta di legge sia conforme ai principi legislativi e costituzionali italiani”. Draghi sottolinea anche che attraverso questa proposta il Parlamento abrogherebbe “una serie di disposizioni vigenti della normativa italiana” sulla struttura proprietaria di Via Nazionale che “trova corrispondenza nello Statuto della Banca d’Italia”.
Insomma, il disegno della Meloni confligge con lo Statuto, ponendosi in contrasto col principio d’indipendenza della banche centrali nazionali sancito dai Trattati europei. La proprietà dell’oro e delle quote della Banca d’Italia sembrano solo questioni tecniche, ma in un momento delicato come questo vanno al cuore della questione, che è la continua messa in discussione delle regole europee e della permanenza dell’Italia nell’euro.