Quel caos finanziario che preoccupa l’economia mondiale
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Lo stato di tensione tra le potenze rischia di esacerbare in maniera sempre più grave
APR 8, 2019 ANDREA MURATORE www.occhidellaguerra.it
L’economia globale aveva iniziato il 2019 in una fase di grave incertezza, contraddistinta principalmente dalla caduta libera degli indici azionari, dall’accelerazione della volatilità sui mercati, dalla manifestazione dei primi sintomi della guerra commerciale Cina-Usa e dall’incertezza dell’azione delle banche centrali, spiazzate dall’insuccesso del loro abbandono del quantitative easing portato avanti nell’ultimo decennio.
Un concentrato esplosivo messo a repentaglio dalla presenza di numerose scintille d’innesco sparse per il mondo, dal debito corporate statunitense ai derivati tossici del sistema bancario franco-tedesco, passando per le sofferenze del “malato d’Europa”, Deutsche Bank.
Le banche centrali spingono le borse
In questo contesto, tuttavia, il nuovo anno ha sembrato portare con sé una nuova fase di sereno nei mercati. “Per i titoli azionari globali siamo ai massimi dal 2012, per quelli statunitensi addirittura dal 2009, così come per il petrolio”, scrive Il Sussidiario. “Di più, nonostante il rallentamento dell’economia, il mercato azionario cinese ha concluso i primi tre mesi dell’anno con un secco +24%, anche in questo caso miglior risultato di inizio anno dal 2009. Addirittura, la nostra piccola e vituperata Piazza Affari ha portato a casa un più che onorevole +16%, il suo miglior risultato dal 1998”.
Cosa ha potuto causare un cambiamento di rotta di tale portata? Essenzialmente, il ritorno in campo delle banche centrali. Di nuovo pronte a inondare di liquidità i mercati, aprendo nuovamente la strada a un ampliamento della leva finanziaria delle borse. Mille miliardi di dollari sono stati riversati da inizio anno nel sistema finanziario globale, 800 dei quali ad opera della sola banca centrale cinese.
Economia reale in affanno
Tutto questo, però, stride con una situazione di criticità nell’economia reale testimoniata dal rallentamento dell’Eurozona, dalla regressione della crescita di Paesi come Germania e Italia, dai dubbi sul futuro dell’economia cinese e dalle incertezze sull’espansione degli Stati Uniti, oggetto di contenzioso politico tra Donald Trump e gli apparati federali. Le tensioni geopolitiche non aiutano a riportare il sereno, mentre sullo sfondo anche il mercato energetico, segnato dal braccio di ferro tra Usa e Opec, lascia intravedere nuovi scenari di crisi.
Mentre l’Europa dovrà presto mediare con le conseguenze della Brexit, che potrebbero rivelarsi rovinose sia per Bruxelles che per Londra ma, al tempo stesso, rafforzare la dipendenza europea dagli Usa, gli stessi Stati Uniti e la Cina sono impegnati in un’altra partita che, seppur meno pubblicizzata della sfida commerciale, ha rilevanza globale: la sfida per l’egemonia valutaria nell’economia globale.
“Nel quarto trimestre dello scorso anno, la quota di mercato dello yuan all’interno delle riserve valutarie mondiali ha toccato il massimo record da quando viene tracciato il dato, mentre in contemporanea la percentuale del dollaro è scesa ai minimi dal 2013”, prosegue l’analisi di Mauro Bottarelli per Il Sussidiario.
Il braccio di ferro monetario
L’offensiva cinese, con lo yuan che accresce la sua rilevanza come valuta nei mercati energetici internazionali, ha al tempo stesso causato un effetto positivo anche per l’euro, che ha avvicinato la quota detenuta dal dollaro nel sistema di pagamenti Swift, toccando il 35% contro il 39% del biglietto verde. Questo spinge, una volta di più, a rammaricarsi per l’inconsistenza dell’Europa nella geopolitica planetaria, fonte di irrilevanza strategica e, al tempo stesso, di compressione della capacità d’azione nel mercato valutario e commerciale globale. Perché, ad esempio, la scelta europea di aprire un canale di aggiramento delle sanzioni all’Iran non servirà a nulla in assenza della volontà politica per sostenerne l’operatività.
Così come risulterà deleteria la scelta di proseguire sulle politiche che hanno a lungo frenato la crescita del continente, senza mettere in campo seri strumenti per rilanciare gli investimenti, superare l’austerità e fare della Banca centrale europea un prestatore di ultima istanza capace di agire come baluardo anticrisi.
Le spade di Damocle che pendono sull’economia globale, come visto, sono numerose e pericolose. La panacea della crescita degli indici finanziari questa volta non basterà a coprire le problematiche che si vanno accumulando e che lo stato di tensione tra le potenze rischia di esacerbare in maniera sempre più grave. La recessione globale negli anni a venire non è più un timore, ma una possibilità concreta. E solo un rilancio dell’economia reale da parte dei governi potrà prevenirla in maniera ottimale.