L’assoluzione di Mussari minimizza il “banking horror show” e impensierisce Bankitalia

Lo "scandalo derivati" della campagna elettorale del 2013 finisce in un'assoluzione in appello per gli ex vertici di Mps. Banca d'Italia non fu ostacolata perché poteva conoscere l'operazione

di Alberto Brambilla 8 Dicembre 2017 alle 06:00   www-ilfoglio.it

Roma. A quasi cinque anni dalla campagna elettorale del 2013 – animata dallo “scandalo derivati” al Monte dei Paschi – è arrivata ieri l’assoluzione in appello per gli ex vertici di Mps, imputati di ostacolo alla Vigilanza per la ristrutturazione del derivato Alexandria, stipulato con la banca giapponese Nomura. I giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Firenze hanno assolto l’ex presidente Giuseppe Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni e l’ex capo dell’area finanza, Gianluca Baldassarri perché “il fatto non costituisce reato” in base alla sentenza letta in aula, dice Reuters. In primo grado erano stati condannati dal tribunale di Siena a tre anni e sei mesi di reclusione e a cinque anni di interdizione. La procura aveva chiesto sette anni per Mussari, sei anni per Vigni e Baldassarri per ostacolo alla Vigilanza di Banca d’Italia e Consob.

L’intera questione riguarda il contratto stipulato con Nomura (mandate agreement) che, secondo l’accusa, era stato tenuto nascosto alle Autorità. Per poi essere stato ritrovato, come da narrativa ampiamente ricordata dalla stampa, in una cassaforte di Vigni dal successore Fabrizio Viola. Gli avvocati della difesa invece hanno sostenuto che Banca d’Italia avesse a disposizione gli elementi utili a valutare l’operazione e che quel documento specifico non fosse essenziale in quanto un altro documento (deed of amendment) poteva comunque servire allo scopo. Una fonte della Banca d‘Italia, unica parte civile nel processo, ha detto a Reuters che “in base alla formula utilizzata, possiamo presumere che la Corte considera esistenti i fatti, ma ritiene al tempo stesso che non costituiscano illecito penale”.“L‘elemento fondamentale è stato il ritrovamento del deed of amendment che ha gli stessi contenuti del mandate e lo rende operativo: era in possesso degli ispettori di Banca d’Italia ed è stato acquisito dalla Corte d‘appello”, ha replicato il legale di Baldassarri, Filippo Dinacci. Nel 2013 il Foglio scriveva che “si tratta di un contratto regolare, come se ne fanno a centinaia tra banche e banche, e che forse non stava nemmeno ‘nella cassaforte’, come si è scritto, ma che – stando a indiscrezioni – avrebbe invece passato i controlli interni in Mps, oltre al fatto che gli effetti potenzialmente negativi per i conti bancari erano noti almeno dall’autunno scorso anche a Roma”, tanto che il il governo tecnico guidato da Mario Monti aumentò la somma stanziata per il prestito a Mps. Ciononostante nella “scandalosa disputa” ci fu un ordine di sequestro preventivo da parte della procura di Siena per 1,8 miliardi di euro – una cifra arbitraria perché frutto di una media matematica – ai danni della banca giapponese Nomura” perché si era avvantaggiata dall’operazione, com’è naturale per una banca d’affari, peraltro grande compratore di titoli di stato italiani.

 

L’assoluzione in appello rappresenta per Banca d’Italia una criticità ulteriore dal momento che in queste settimane è al centro delle indagini della commissione d’inchiesta Bicamerale sulla crisi bancaria con relativa esposizione mediatica ai massimi livelli. Il rinnovo di Ignazio Visco a governatore è stato ostacolato dal Partito democratico che continua a criticare l’operato degli ispettori di Palazzo Koch. Per Banca d’Italia “la cura e la profondità profondità dell’analisi degli ispettori si sono scontrate tuttavia con opacità di Mps, che non ha consentito loro di disporre di tutti gli elementi informativi e documentali rilevanti”. Affermazioni che la sentenza costringe a rivalutare.

 

Mussari, Vigni e Baldassarri sono a processo a Milano, iniziato a dicembre, accusati a vario titolo di aggiotaggio, falso in bilancio, falso in prospetto e ostacolo alla Vigilanza.

  

Il “banking horror show” al Monte dei Paschi della campagna elettorale 2013 è già stato ridimensionato per la puntata in cui si adombravano delle “tangenti” nell’operazione di acquisto di Antonventa da parte di Mps – di cui non c’è mai stato riscontro – e ora viene ridimensionato un altro capitolo “scandaloso”. Nonostante ci siano lezioni da trarre sull’uso mediatico e politico delle vicende bancarie, anche questa campagna elettorale avrà lo stesso ritornello inquisitorio verso il sistema bancario.

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